domenica 31 maggio 2020

UMANISMO: HEIDEGGER E SARTRE


Nato dal clima di profonda crisi sociale e politica che contraddistingue l’ Europa tra le due guerre mondiali, l’Esistenzialismo costituisce un movimento culturale che abbraccia teatro, poesia e musica. Inoltre il movimento pone le basi all’ orientamento filosofico che si sviluppa soprattutto in Francia e in Germania e che, in modi differenti, trova i suoi maggiori rappresentanti in Martin Heidegger, Karl Theodor Jaspers e Jean Paul Sartre.  
L’esistenzialismo si sviluppa sulla scia della grande letteratura della crisi e di un nuovo interesse per Kierkegaard, considerato colui che aveva saputo rivendicare per primo il bisogno di restituire senso alla singolarità dell’individuo concreto. 
I caratteri fondamentali dell’esistenzialismo sono:  l’attenzione rivolta all’uomo dal punto di vista della sua effettiva esistenza;
 il ripudio delle limitazioni a cui tutte le filosofie razionali e sistematiche sottopongono l’irripetibilità e l’unicità della persona. 
 Su queste basi l’esistenza umana viene segnata dal dubbio, dalla scelta, dall’angoscia, dal nulla, dal concetto di finitezza e morte dell’uomo.La ricerca del significato della vita e dell’essere si apre allo scacco e al fallimento: il mondo nel suo complesso, dagli esistenzialisti, è interpretato solo alla luce dell’assurdo e del non-senso.  
L’esistenzialismo, che ha avuto un ruolo preminente all’interno del panorama filosofico europeo fino agli anni ’50, prende il nome di Existenzphilosophie(=filosofia dell’esistenza) nei suoi due fondatori tedeschi: Karl Jaspers e Martin Heidegger.
Il panorama esistenzialistico si presenta ricco di posizioni originali e tra loro a volte molto diverse. 
 Vanno inclusi nella «mappa» esistenzialistica anche il francese Jean Paul Sartre (1905-1980) e l’italiano Nicola Abbagnano (1901- 1990), anche se il loro pensiero presenta caratteri attribuibili anche a correnti filosofiche come il marxismo nel caso di Sartre, e il pragmatismo sociologico nel caso di Abbagnano.  Leopere centrali del pensiero esistenzialista sono “Essere e tempo” (1927) di Martin Heidegger, il “Diario metafisico” (1927) di Gabriel Marcel, la “Filosofia” (1932) di Karl Jaspers, “Spirito e libertà” (1933) di Nicolaj Berdjaev e l’”Essere e il nulla” di J.P. Sartre. 
Il libro principale di Heidegger è Essere e tempo, un’opera tra le più significative del Novecento. In essa egli tenta di mettere al centro della filosofia, dopo lunga dimenticanza, «il problema dell’essere», cioè la questione, qualecompito primario della filosofia. Hiedegegr sostiene che l’ontologia deve essere intesa in senso soggettivo, come riflessione interiore sul senso dell’essere.
L’unico ente in grado di porsi il problema dell’essere è l’uomo, da Heidegger chiamato Da-sein, letteralmente Esser-ci. È l’uomo dunque l’unico essere capace di indagare, ed è l’ unico che può risalire al perduto senso dell’essere. 
 Solo partendo dalla propria esistenza, dunque, l’uomopuò indagare l’“essere”. L’  esistenza appare ad Heidegger caratterizzata da alcune dimensioni fondamentali:il poter-essere, che è rappresentato dall’insieme delle possibilitàdella nostra esistenza, cioè l’“aver da essere” (Zu-sein); l’essere-nel-mondo, cioè il vivere concreto dell’individuo tra cose e persone; l’apertura, la “cura”. 
Le modalità principali che Heidegger chiama «esistenziali» e che garantiscono un’ esistenza autentica, attraverso cui sperimentiamo il nostro essere-nel-mondo sono: la situazione emotiva e la comprensione. Essere-nel-mondo significa essere sempre coinvolti in una situazione emotiva: l’uomo non è uno spettatore disinteressato dei fenomeni e dei suoi significati. Attraverso la “comprensione”, l’essere umano indaga sulla propria essenza e sulle strutture fondamentali dell’esistenza. 
Il fatto che ci sperimentiamo naturalmente come soggetti avvolti nelle nostre scelte e decisioni, ovvero il nostro “poter-essere”, spinge Heidegger alla definizione del Da-seincome soggetto “caduto” in esso fuori dalle dimensioni spazio-temporali.
La situazione emotivarivela la nostra finitezza: la conoscenza e l’esistenza umana sono sempre relative, immerse nei pregiudizi, in opzionie  possibilità che  preesistonoe che ci sovrastano e che costituiscono un’ esistenza non autentica. Dopo aver riflettuto sui due esistenziali principali, si può  indagare sul senso dell’essere dell’esser-ci. Questo fenomeno è definito con il termine latino “Cura”.Per Heidegger il significato dellaCura è la temporalità, in un senso più originale. Infatti la Cura mostra una dimensione per cui passato, presente e futuro sono legati al senso complessivo del Dasein: il tempo è sempre in relazione con il progetto della propria esistenza.
Secondo Heidegger è possibile vivere autenticamente solo se si pensano a fondo le situazioni e le due esperienze più decisive della vita umana, quali: l’angoscia e la morte. La prima, a differenza della paura, non si riferisce a singoli fenomeni, ma alla totalità dell’esistenza. La morte, radicalizzando l’esperienza dell’angoscia, mostra che l’ esistenza è minacciata da una totale precarietà.
Heidegegr pensa anche però che la morte sia anche in un certo senso un’esperienza privilegiata: ogni uomo è in realtà un essere-per-la-morte, un soggetto cui soltanto il potenziale venir meno delle possibilità può svelare il lato «autentico» dell’esistenza.

Accettare la morte non significa attenderla passivamente, ma assumere la sua idea come “inevitabile”, come limite “invalicabile” dell’esistenza. 
La cosiddetta “svolta”, o Kehre del pensiero heideggeriano, è collocabile negli anni Trenta del ’900: Heidegger sostiene che la metafisica occidentale è stata segnata da un “oblio dell’essere”, oblio causato dall’aver dimenticato la differenza ontologica, ossia la distanza costitutiva tra “essere” ed “ente”. Heidegger comprende perciò che per poter oltrepassare la metafisica, è necessario un radicale attraversamento dei momenti fondativi della sua tradizione. In tali momenti, Heidegger si identifica con quello dei filosofi Presocratici, i quali secondo lui avevano una visione apoditticadi accettazione dell’essere poiché la natura greca non poteva essere oggetto di calcolo, investigazionee manipolazione. Secondo Heidegger, il dovere attuale della filosofia è quello di risalire e attraversare la tradizione ricorrendo ad un pensiero rammemorante capace di svelare tracce dell’iniziale mostrarsi della verità. Questa forma di “risalimento” è possibile ascoltando e interrogando la poesia e l’opera d’arte: l’ arte  infatti, secondo Heidegger, è la dimensione essenziale in cui la verità  si mette all’ opera nella sua valenza originaria. Per Heidegger, dunque, l’interrogazione sull’essenza del linguaggio costituisce un modo privilegiato di avvicinarsi alla natura e alla verità. 
Contrapposto ad Heidegger, vi è Jean-Paul Sartre, il quale persegue l’ideale pacifista nel dopoguerra; il pensatore influenza avversi campi del sapere, vari movimenti rivoluzionari e teorie che si rifacevano al marxismo. 
I primi progetti di Sartre sono segnati dalla scoperta della filosofia hegeliana e della fenomenologia husserliana, seguiti da approfonditi studi di psicologia. Leggendo Hegel in chiave esistenziale e seguendo Husserl, Sartre critica la psicologia contemporanea francese, poiché troppo legata ad una visione naturalistica che nega l’emozione. 
L’ “Essere e il nulla”, opera che risale al 1943, segna la sistemazione delle riflessioni sartriane sulla natura della coscienza che esalta il rapporto contraddittorio tra libertàdel soggetto e condizionatezza  nel mondo. Il filosofo francese pone la distinzione tra il per-sé e l’ in-sé. La prima espressione indica la coscienza , intesa come intenzionalitàdel soggetto verso le cose; la secondadesigna il mondo nel quale vive l’uomo. L’ “in-sé” è compatto, chiuso, privo di rimandi all’esterno, impenetrabile e senza tempo; al contrario il “per-sé” è libero, temporale, colmo di opportunità. Con l’analisi del “per-sé” iniziano a sorgere  gli aspetti drammatici della filosofia sartriana: la coscienza ha infatti per condizione necessaria e assoluta il nulla, nulla che rivela l’assurdità del mondo esterno. Il Nulla proviene da noi stessi. La volontà di trascendere le cose, di superare la scissione tra noi e il mondo, ci fa infatti scoprire che siamo drammaticamente condannati alla libertà, cioè siamo spinti a conferire senso alle cose, a non arrenderci all’assurdità del mondo. 
Il limite dell’uomo, però, è proprio l’impossibilità di spiegare la sua esistenza e il suo essere nel mondo. Questa consapevolezza rende l’uomo un dio mancato, e la presa d’atto della mancanza di senso dell’esistenza porta l’individuo alla nausea.
I temi dell’Essere e il Nulla ottengono successo, ma suscitano critiche. In risposta a quest’ ultime e a seguito della propria esperienza di guerra, successivamente Sartre cerca gli aspetti positivi del suo pensiero. Ne “L’ Esistenzialismo è un umanismo”, Sartre rifiuta l’interpretazione negativa o nichilista del suo pensiero, definendo l’esistenzialismo non come una dottrina pessimista e nichilista , ma piuttosto come una filosofia della libertà, una libertà situata, la quale si può concretizzare nella sceltae nell’impegno politico. Questa tendenza a conferire importanza sempre crescente all’impegno pratico ed all’azione politica culmina con la generica rivalutazione del marxismo. Sartre cerca infatti di conciliare il pensiero di Marx con gli sviluppi dell’approccio esistenzialista, orientando il proprio pensiero all’impegno e alla responsabilità nella denuncia delle forme di alienazione e oppressione. 
Sartre inoltre respinge il materialismo dialettico di stampo sovietico, ritenuto scolastico e dogmatico e responsabile di aver annullato l’individuo e le sue peculiarità. 
L’apporto dell’esistenzialismo porta Sartre all’elaborazione di una teoria critica del soggetto. Per il pensatore francese, la ragione dialettica deve essere incentrata sulla praxis individuale che si intreccia con la praxis degli altri: la libertà resta la caratteristica principale degli uomini, non è più però considerata quale libertà assoluta, ma è ora vista come libertà storicamente condizionata. 

venerdì 29 maggio 2020

La filosofia di Sartre

TRA PSICOLOGIA E FENOMENOLOGIA: I primi progetti di Sartre sono segnati dalla scoperta della filosofia hegeliana e della fenomenologia husserliana, seguiti da approfonditi studi di psicologia. Leggendo Hegel in chiave esistenziale e seguendo Husserl, Sartre critica la psicologia contemporanea francese troppo legata ad una visione naturalistica che nega l’emozione che non è mai riducibile ad un «fatto» empiricamente analizzabile.
Considerata da un punto di vista fenomenologico, la sfera emotiva va pensata come espressione stessa della coscienza, come sua «forma organizzata» perché l’esistenza precede l’essenza.
Anche gli studi sull’
immaginario procedono in questa direzione perché emozione immaginazione, da un punto di vista fenomenologico, costituiscono dei modi privilegiati di accedere alla realtà della coscienza.
Sia l’emozione che l’immaginazione costituiscono le dimensioni della coscienza attraverso cui il soggetto coglie da un lato il suo essere «situato», cioè naturalmente collocato tra le cose; dall’altro che da queste cose in cui è immerso è possibile sempre distaccarsi, perché gli uomini sono liberi di creare una realtà «altra» rispetto al mondo esterno: con l’immaginazione, infatti, possiamo sia «trascendere» il reale, che negare l’essere stesso.  
LA CRITICA AD HUSSERL E IL VALORE DELLA COSCIENZA: Husserl a Sartre rimprovera di aver frainteso l’autentica costituzione della coscienzainterpretandola in modo idealistico, cioè come espressione psichica di un «io» separato dal mondo.
La 
coscienza al contrario non si riduce all’io, ma è «vuota», «trasparente», libera anche se immersa nelle situazioni vissute.Sartre sostiene che la sua funzione della coscienza consiste nell’essere limitata dalle sole cose che percepisce, di quelle che sente o in cuisi immerge e che proprio in quanto tale va considerata assoluta e indipendente:
«Tutto è fuori, tutto! persino noi stessi: fuori, nel mondo, tra gli altri. Non in un ipotetico rifugio noi scopriremo noi stessi: ma per la strada, per la città, in mezzo alla folla, cosa tra le cose, uomo tra gli uomini». Sartre cioè capovolge la formula Cartesiana “penso, dunque, sono”, in “esisto, dunque, sono”.
ESISTENZIALISMO DI SARTRE: LEssere e il nulla (1943) segna la sistemazione delle riflessioni sartriane sulla natura della coscienza che esalta il rapporto contraddittorio tra libertà (del soggetto) e condizionatezza (nel mondo).
Il filosofo francese pone la distinzione tra il per-sé e l’in-sé. La prima espressione indica la coscienza (intesa come intenzionalità delsoggetto verso le cose); la seconda, invece, designa il mondo nel quale vive l’uomo. L’in-sé è compattochiuso, privo di rimandi all’esterno, impenetrabile e senza tempo:
«L’essere è opaco a se stesso precisamente perché è ricolmo di se stesso. [...] L’essere in sé non ha affatto un di dentro, che si opponga ad un di fuori [...]. L’essere in sé non ha segreti, è massiccio. [...] Non conosce dunque alterità [...] L’essere è. L’essere è in sé. L’essere è ciò che è».
A questo brutale «in-sé», Sartre contrappone l’essere liberotemporale, pieno di possibilità rappresentato dalla coscienza, ovvero il «per-sé».Con l’analisi di questo «per-sé» cominciano ad affiorare gli aspetti drammatici della filosofia sartriana. La coscienza ha infatti per condizione necessaria e assoluta il nulla, nulla che ci svela l’assurdità del mondo esterno.
Il Nulla proviene da noi stessi: ed è la condizione stessa d’ogni possibilità e libertà del nostro agire nel mondo.
La volontà di 
trascendere le cose, di superare la scissione tra noi e il mondo, ci fa infatti scoprire che siamo drammaticamente condannati alla libertà, cioè siamo spinti a conferire senso alle cose, a non arrenderci all’assurdità del mondo. Ilimite dell’uomo, però, è proprio l’impossibilità di spiegare la sua esistenza e il suo essere nel mondo. Questa consapevolezza rende l’uomo un dio mancato, e la presa d’atto della mancanza di senso dell’esistenza porta l’individuo alla nausea.
Siamo, così, agli antipodi dell’ottimistica “idea” di Hegel in sefuori di se (natura), in se e per sé (Dio). 
L' IMPEGNO POLITICO E IL MARXISMO: I temi dell’Essere e il Nulla ebbero enorme successo ma suscitarono (soprattutto da parte cattolica) profonde critiche. In risposta ad esse ed anche a seguito della propria esperienza di guerra, a partire dagli anni ’50 Sartre cercò anche gli aspetti positivi del suo pensiero. Nell’Esistenzialismo è un umanismo, egli rifiuta ad esempio l’interpretazione negativa o nichilista del suo pensiero e definisce l’esistenzialismo non come una dottrina pessimista e nichilista quanto piuttosto come unafilosofia della libertà, seppur di una libertà «in situazione» (situata) che si può concretizzare nella scelta e nell’impegno politico. Questa tendenza a conferire importanza sempre crescente all’impegno pratico ed all’azione politica culmina con la generica rivalutazione del marxismo.
Sartre cerca infatti di conciliare il pensiero di Marx con gli sviluppi dell’approccio esistenzialista, orientando la sua filosofia all’impegno e alla responsabilità nella denuncia di tutte le forme di alienazione e di oppressione a partire dal senso delle “religioni” che Marx considera “l’oppio dei popoli”.
Da un punto di vista strettamente metodologico, egli respinge il materialismo dialettico di stampo sovietico, ritenuto scolastico e dogmatico, nonché responsabile di avere annullato l’individuo e le sue peculiarità.

L’apporto dell’esistenzialismo porta Sartre all’elaborazione di una teoria critica del soggetto, di cui il marxismo è privo. Per il pensatore francese, infatti, la ragione dialettica deve essere incentrata sulla praxis individuale che si intreccia con la praxis degli altri. La libertà rimane la caratteristica precipua degli uomini, anche se non va più intesa come libertà assoluta ma come libertàstoricamente condizionata.
Nella tarda Critica della Ragione dialettica, vengono delineati da un lato i tratti di una nuova antropologia capace di integrare le esigenze di una visione generale dei fenomeni con quelle singole dell’individuo, dall’altra un’ambiziosa filosofia della storia centrata su un recupero critico della dialettica hegeliana, non più vista come processo dello Spirito o della Storia culminante in un Sapere Assoluto, ma come forma delle concrete attività umane, come «verità in divenire», cioè come instancabile tensione sociale ed individuale verso una società più giusta.




La vita di Sartre





Jean Paul Sartre è nato nel 1905 a Parigi e muore nel 1980. E' stato  filosofo, scrittore e attivista politico francese, ha insegnato filosofia a Le Havre. Prigioniero nazista in tempo di guerra, ha perseguito l’ideale pacifista nel dopoguerra.
Sartre è considerato tra i massimi rappresentanti dell’esistenzialismo francese. Nel 1964 ha rifiutato il premio Nobel. 
Le opere principali di Sartre sono: 
-La nausea (1938, romanzo); 
-Il muro (1939, racconti); 
-Le Mosche (1943, dramma); 
-L’essere e il nulla (1943, il suo capolavoro filosofico);
-Che cos’è la letteratura (1947, raccolta di saggi); 
-Le mani sporche (1948, dramma); 
-Il diavolo e il buon Dio (1951, dramma); 
-Critica della ragione dialettica (1960, saggio filosofico).

L’opera di Sartre travalica la sola riflessione filosofica in quanto il suo pensiero ha influenzato avversi campi del sapere nonché diversi movimenti rivoluzionari e teorie che si rifacevano al marxismo.

La filosofia di Heidegger



DASEIN: SI TRATTA DI UN' ESPRESSIONE TEDESCA, TRADOTTA IN ITALIANO CON "ESSERCI", CHE IN HEIDEGGER INDICA LA PARTICOLARE CONDIZIONE IN CUI SI TROVA L' UOMO, IN QUANTO "ENTE CHE E' QUI", CIOE' ENTE "GETTATO" DA SEMPRE IN UNA SITUAZIONE SPAZIO-TEMPORALE DETERMINATA. LA CARATTERISTICA FONDAMENTALE DEL DASEIN E' L' ESISTENZA. 

Nella prima fase del suo pensiero, espressa ad esempio in Essere e tempo, egli privilegia l'Esserci, cioè l'Uomo, come luogo in cui soltanto affiora il senso dell'essere, e dunque come centro della realtà.
Nella seconda fase del suo pensiero, successiva alla Kehre (attorno al 1930), Heidegger rifiutò la definizione di esistenzialista (in particolare nella Lettera sull'umanesimo del 1947): il baricentro di tutto non è più l'uomo, ma l'essere.
Con Husserl, Heidegger rinuncia a una interpretazione globale della realtà, cioè alla metafisica (intesa almeno in senso classico): la ragione non può interpretare esaurientemente il senso dell'essere; in altre parole l'uomo non può, ragionando, arrivare a dire: “ecco, adesso ho capito perché c'è la realtà che vedo e perchè io vivo”. Come per Husserl tutto quello che la filosofia può fare è, piuttosto che intrepretare, descrivere, e ciò che è descritto è il fenomeno. La filosofia è fenomenologia, inventario descrittivo dei fenomeni. Ma a differenza di Husserl, che era più fiducioso nella possibilità di cogliere delle strutture universali del fenomeno (mediante l'intuizione eidetica), Heidegger rinuncia a una analisi fenomenologica del mondo, del fenomeno in sé, ritenendo unico ambito legittimo di indagine il fenomeno per me, soggetto esistente individuale.
È vero che Heidegger parla di cogliere il senso dell'essere, che è il fenomeno per eccellenza, ma in realtà per “cogliere il senso” egli dimostra di intendere solo una descrizione dei fenomeni in cui l'essere si manifesta a me, al singolo, all'Esser-ci.
Sein und Zeit (Essere e tempo) è il titolo dell'opera principale di Heidegger (del suo “primo periodo”, ma anche, secondo molti, dell'intera sua produzione). Per lui la metafisica occidentale avrebbe, lungo tutto il corso della sua lunga storia, da Platone in poi, ridotto quello che dovrebbe, a sua stessa detta, essere il suo oggetto, cioè l'essere, a una sola delle sue dimensioni, l'ente in quanto presente e disinteressatamente contemplabile, presumendo di poterlo oggettivare e possedere.
L'essere infatti, se si dà solo negli enti, è però ben più che gli enti: gli enti sono qualcosa di rassicurante nella loro presunta stabilità, ma l'essere va oltre l'ente, è inafferrabile, anche e soprattutto per la sua estensione a tutte le dimensioni del tempo, non solo il presente, ma anche il passato e sopratutto il futuro.
La metafisica conosciuta finora è stata invece una metafisica della presenza, che ha arbitrariamente tagliato via le dimensioni non possedibili dell'essere per limitarsi all'ente come presenza, oggettivabile concettualmente.Nella prima fase del suo pensiero Heidegger attribuisce all'uomo un ruolo decisivo nel coglimento del senso dell'essere. L'essere si dà solo negli enti, e in particolare in quell'ente privilegiato che è l'Esserci, il Da-Sein, ossia l'uomo come esistente individuale. L'uomo, l'Esserci, non è una cosa tra le cose, che possa contemplare disinteressatamente il mondo mettendo tra parentesi la propria soggettività. Questa è invece orizzonte intrascendibile. Non possiamo cogliere il senso dell'essere in sè, ma solo il senso dell'essere per me.
Il senso dell'essere sarà dunque colto nell'esistenza: quello che occorre perciò è una analitica dell'esistenza, una analitica esistenziale, che come analitica renda esplicito ciò che è già implicato nella nostra esperienza e nei nostri giudizi, e in quanto esistenziale colga l'uomo non come un quid da definire, oggettivandolo (come specie animale o fenomeno psicologico), ma come un quis, come soggettività esistente.
L'analitica esistenziale inventaria gli esistenziali, cioè le caratteristiche essenziali dell'esistenza, e che Heidegger distingue, in quanto modi di essere dell'uomo, del Dasein, implicanti uno Zu-sein, un aver-da-essere e quindi la libertà, dalle categorie, che sono modi di essere delle cose in sé stesse.

I principali esistenziali sono: 
- IN DER WELT SEIN => significa che l'Esserci è nel mondo vitale con immediata apertura; non si dà un diaframma tra io e mondo, come aveva pensato il dualismo gnoseologico moderno (da Cartesio in poi); in questo superamento del dualismo gioca il recupero brentaniano-husserliano del concetto aristotelico-scolastico di intenzionalità, tuttavia a differenza che in Aristotele e nel pensiero medioevale l'apertura intenzionale al mondo non è anzitutto teoretica, ma pratica: col mondo abbiamo ha a che fare immediatamente, ma per affrontarlo
- ZUHANDENHEIT => il primo atteggiamento dell'Esserci è pratico-affettivo, non è uno stupore distinteressato, ma un preoccuparsi, un prendersi cura (Besorgen): il mondo ci è immediatamente dato come qualcosa che sollecita la nostra cura, non la nostra curiosità; le cose, prima che belle o vere, ci si danno come utilizzabili (è il loro essere-alla-mano, Zuhandenheit)
- VERSTEHEN => la comprensione viene dopo, è il secondo atteggiamento verso il mondo, e non consiste tanto in una conoscenza contemplativa, ma nel proiettare delle possibilità
- MIT SEIN => essere-con-gli-altri, che sono dati immediatamente, seppur non come soggetti, come altri io, come persone determinate, ma come costituenti il medesimo mondo, come altri-in-generale
- SEIN ZUM TODE => dato che l'esistenza è temporalità, nella quale siamo inesorabilmente gettati e che ha come dimensione decisiva il futuro, la morte, che del futuro è l'inevitabile approdo non è un particolare insignificante o trascurabile, ma un tratto definitorio della stessa vita

L'essere gettato verso un futuro inesorabile e non-possibile, dove ogni determinatezza dell'ente si infrange, in ultima analisi essere gettato verso la morte, non è automaticamente e facilmente accettabile: la libertà dell'Esserci si esercita come accettazione o rifiuto della propria verità: si ha così una esistenza inautentica e una esistenza autentica. 
Tra la fine degli anni Venti e l'inizio degli anni Trenta Heidegger matura la Kehre, la svolta, come lui stesso la definì (la Kehre è una svolta in una strada di montagna, un tornante, che da un lato prosegue la strada precedente, ma in una direzione quasi opposta). Il contenuto di tale svolta è un abbandono di una prospettiva che metteva l'Esserci al centro, per collocarvi invece lo stesso Essere, di cui Heidegger sottolinea da un lato (con maggior vigore di quanto già in precedenza sostenuto) l'inafferrabilità, l'inesauribilità, dall'altro la possibile iniziativa di rivelarsi lui stesso all'uomo.
Centrale in questo senso è il concetto di Lichtung, che è un neologismo con cui Heidegger chiama la luminosità improvvisa in cui un viandante che cammini in mezzo a un bosco di fitti alberi può trovarsi, allorché sbuchi in una radura, dove può ammirare, sia pura per un breve tratto del cammino, un panorama ben più vasto e bello di quello che vedeva all'ombra degli alti e spessi alberi.Nella Lichtung è l'Essere stesso che si rivela, non noi che cerchiamo di ingabbiarlo nei nostri schemi. In questa fase Heidegger insiste sul concetto di verità come a-létheia, come non-nascondimento, dunque come autosvelamento che l'Essere fà, come e quando vuole.  
All'essere che si rivela nella Lichtung occorre una risposta di abbandono (Gelassenheit).
Il linguaggio che meglio può cogliere l'essere non è quello concettuale-filosofico (che ridurrebbe l'essere ad ente) ma quello artistico, e specialmente quello poetico. Grande è stato il suo interesse in particolare a Hölderlin.

Positiva in Heidegger è la volontà di obbedienza al dato, al reale, all'essere; negativo il credere che l'essere sia totalmente non-concettualizzabile: egli reagisce, giustamente a una lunga tradizione metafisica almeno in parte intaccata da un astratto essenzialismo, ma sospinge l'essere troppo oltre la ragione concettuale. Questa non possiede l'essere, è vero, ma lo attinge, sia pur imperfettamente.

La vita di Heidegger




Martin Heidegger è nato nel 1899 in Germania. Studia teologia e nel 1915 ottiene la libera docenza; è allievo di Husserl, il quale lo sceglie come suo assistente.
Nel 1933 Heidegger aderisce al Partito Nazionalsocialista, viene nominato rettore dell' Università di Friburgo, pronuncia un discorso di impronta nazionalista il quale suscita polemica da parte degli intellettuali. Nel 1936 il filosofo va a Roma, dove tiene due conferenze.
Heidegger muore nel 1976.

Tra i suoi punti di riferimento possiamo ricordare:
  • Husserl, di cui fu apprezzato discepolo (“la fenomenologia siamo io e Heidegger”),
  • Kierkegaard, con il suo senso del limite, della finitezza umana, e, per motivi simili
  • Dostojevskij;
  • Dilthey, con la sua sottolineatura della centralità della storia, e dunque in qualche modo del tempo;
  • Nietzsche, che influisce su di lui da un lato per il suo antirazionalismo, ma dall'altro (specie nella seconda fase della riflessione heideggeriana) come uno degli esiti più eclatanti dell'oblio dell'essere, coltivato dalla metafisica occidentale.

Le opere principali di Martin Heidegger sono:
- Essere e tempo
- Che cos' è la metafisica? (conferenza)
- Kant e il problema della metafisica
- Lettera sull' umanismo
- Sentieri interrotti
- Introduzione alla metafisica
- Che cosa significa pensare?
- Saggi e discorsi
- Che cos'è la filosofia?
- Identità e differenza
- In cammino verso il linguaggio
- Nietzsche (in due volumi)
- Segnavia (raccolta)

lunedì 4 maggio 2020

La filosofia di Husserl






In Husserl si trova la critica, poiché egli denuncia la crisi di valori del mondo occidentale, relazionandola con la perdita di senso della scienza, al tempo ormai incapace di proporre risposte e soluzioni ai quesiti basilari dell' esistenza.
Husserl dedica interamente la sua vita allo studio, egli infatti confessa di non aspirare agli onori a o alla fama, al contrario perseguita nella propria indagine l' ideale della chiarezza:
                               "non posso vivere senza chiarezza."

Sin dall' infanzia questo filosofo matura forte interesse e curiosità per gli studi scientifici, in particolare per la matematica. Si orienta poi verso gli studi filosofici attratto dalla personalità del filosofo tedesco, psicologo, docente e suo maestro: Fran Brentano. La ricerca di questo ultimo in merito all' origine dei processi logici influenzerà parecchio il pensiero di Husserl,  il quale intende individuare la base per così dire "soggettiva" del sapere. 
Husserl intraprende successivamente la carriera accademica, durante questo periodo conosce Heidegger. Nel dibattito di quegli anni si sviluppa il movimento fenomenologico, di cui Husserl è il maggior esponente e fondatore.
Con l' avvento di Hitler e del nazismo, Husserl si trova costretto a lasciare l'incarico quale docente poiché ebreo.
Nell' ultima opera di Husserl, "La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale", è possibile comprendere il senso del pensiero del filosofo : secondo lui, la civiltà europea -devastata dal drammatico affermarsi del processo di disumanizzazione portato alle estreme conseguenza da Hitler proprio con l'impiego bellico della scienza e della tecnica- potrà risollevarsi solo ed esclusivamente se sarà in grado di recuperare il fondamento "umano" dei propri valori. Il filosofo non mette in discussione il valore delle conoscenze specifiche ottenute dalle singole discipline, ma il senso e la validità che la ricerca scientifica ha ed è capace di rivestire per l' esistenza umana. La scienza infatti trascura proprio gli aspetti più umani, operando una riduzione della realtà ai soli parametri fisico-matematici: è divenuta scienza dei "fatti", a prescindere dal riferimento al soggetto ed esclude le
problematiche del senso dell' esistenza , finendo con l' estraniarsi dagli uomini.
     
"Nella miseria della nostra vita -si sente dire- questa scienza non ha niente da dirci. Essa esclude di principio proprio quei problemi che sono i più scottanti per l' uomo, il quale, nei nostri tempi tormentati, si sente in balìa del destino; i problemi del senso o del non-senso della' esistenza umana nel suo complesso." 

La conoscenza scientifica è mossa dall' atteggiamento naturalistico che tratta il mondo solamente come "cosa". Questo vale paradossalmente anche per le scienze dello spirito: psicologia, antropologia e storia. Queste riducono l' uomo a oggetto di indagine, il quale deve essere studiato in modo neutro e dall' esterno. Husserl sostiene  che all' origine del processo vi siano l' opera e il pensiero del grande Galileo Galilei, che ha dato un' interpretazione generale della natura in chiave matematica, considerando secondarie le qualità soggettive poiché non riducibili a numeri e proporzioni quantitative. 
L' aver privilegiato le discipline fisico-matematiche e l' aver escluso gli aspetti della realtà che non rientrano in strutture formali rigide e severe, ha comportato la decisione tra "fisico" e "psichico" causando la sovrapposizione di un mondo di idealità astratte alla realtà concreta dell' esperienza vissuta.
L' uomo di oggi si trova in un vicolo cieco, in una condizione particolare, vive in un mondo che non offre soluzioni alle sue necessità e ai suoi problemi.  Husserl, a questo proposito, è convinto che la crisi sia talmente profonda da riguardare lo stesso significato dell' esistenza: non resta perciò che ricorrere a un' idea di filosofia come scienza rigorosa e universale, capace di rinvenire una fondazione ultima del sapere, un livello iniziale cui è radicata la stesa cultura scientifica. 
Il filosofo ceco elabora poi il metodo fenomenologico, mediante il quale si propone di ricreare
l' ambito della conoscenza e mostrarne l' origine.
Per Husserl la risposta alla domanda "E' possibile rinvenire il significato umano del mondo?"  è affermativa! Il metodo fenomenologico da lui elaborato ha come scopo proprio quello di andare a riscoprire il senso umano delle cose e delle costruzioni concettuali; questo consiste nella messa tra parentesi (o EPOCHE') delle certezze della scienze e dell' atteggiamento naturale dell' uomo, il quale considera il mondo come una realtà già data e formata. Quello che diversifica il progetto di Husserl da Kant, Cartesio e l' idealismo, è la concezione che lui ha della coscienza e dello stesso fenomeno. Husserl quando tratta la coscienza, la intende come principio operativo, cioè atti che si rivolgono all' oggetto, che in relazione ad essi, si rivela mostrando pian piano i suoi livelli di significato. Husserl denomina questa caratteristica della coscienza, "intenzionalità" e intende indicare con questo termine il fatto che la coscienza è sempre "coscienza di qualche cosa", ovvero attività volta verso un oggetto, la modalità di rapportarsi al mondo esterno, una corrente di esperienze vissute in cui si ha una correlazione tra la polarità soggettiva (=NOE'SI) e la polarità oggettiva (=NOE'MA).  La fenomenologia è scienza descrittiva dei vissuti intenzionali, dei quali si propone di mostrare le strutture essenziali. Husserl parla di fenomenologia come di "scienze eidetica". Husserl allude alla capacità della fenomenologia di cogliere fatti, eventi particolari e accidentali,  le essenze delle cose. Il metodo fenomenologico comporta perciò una "riduzione eidetica" del mondo, ossia la messa tra parentesi dei suoi significati abituali, sulla cui base è possibile esercitare l' "intuizione eidetica". 
L' intuizione eidetica è la diretta intuizione degli aspetti essenziali della realtà.
Nell' ultimo Husserl, il filosofo sente il bisogno di difendersi dalle accuse mosse alla propria concezione della soggettività. A questo proposito il filosofo ceco elabora il concetto di "mondo della vita", l' esperienza che precede la formulazione delle categorie e delle nozioni. Il filosofo ammette che l' idea di un io puro e disinteressato è un' astrazione, da cui poter partire per riconoscere le caratteristiche essenziali del soggetto come individuo concreto già da sempre inserito in un contesto intersoggettivo.
Infatti, nel momento in cui l'io ritrova se stesso quale soggettività costituente, questo ritrova anche gli altri io. L' oggettività del mondo è assicurata dalla sua fondazione intersoggettiva. I soggetti costituiscono la comunità umana, cui è affidato il compito di rinnovare dal profondo le scienze e la stessa idea di cultura dell' Occidente.















venerdì 1 maggio 2020

La vita di Husserl





Edmund Husserl è nato nel 1859 in Moravia, a Prossnitz. La sua famiglia d' origine è ebrea.
Successivamente si trasferisce in Austria, a Vienna, dove assiste alle lezioni di Fran Brentano, psicologo e filosofo. Nel 1886 inizia la carriera di Husserl quale insegnante, prima a Halle, poi a Gottinga e a Friburgo, dove muore nel 1938 a causa del nazismo.

Le opere essenziali di Husserl sono i 2 volumi delle "Ricerche logiche", cui egli presenta le idee basilari della fenomenologia; "Idee per una fenomenologia pura e una filosofia fenomenologica"; "Meditazioni cartesiane"; "La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale" postuma.

giovedì 2 aprile 2020

La filosofia di Bergson

Il tema della concezione del tempo è lo spunto del pensiero su memoria e vita dello spirito del francese Henri Bergson.
Il filosofo è considerato quale il  "maestro del pensiero". La sua influenza è ancora presente nella cultura francese e nella filosofia europea continentale. Il suo scopo è in armonia con l' udire della propria epoca: l' obiettivo di Bergson sta nel dare voce a quegli aspetti che la visione positivistica della scienza aveva trascurato.
Il primo fattore che Bergson nota come inconcepibile e non spiegato dalla scienza è proprio il concetto di tempo. Secondo il filosofo la scienza non è in  grado di cogliere la continuità e il movimento vero e reale della vita. Questo non è solo il limite della scienza, bensì il suo limite intrinseco. La scienza di fatti progredisce grazie a processi che semplificano e facilitano la realtà concreta. E' necessario perciò invertire la rotta, riaffermare la peculiarità e la dignità della filosofia, riconoscendo la presenza di un' intelligenza intuitiva in grado di, per così dire, "cogliere dall' interno" la dinamica del reale. In questo modo, e solo così, si potrà riuscire a capire la singolarità dei fenomeni dell' esistenza e della storia.
Come si è visto, la riflessione compiuta da Bergson parte proprio dall' analisi del concetto di tempo così come era stato elaborato dalla fisica. Egli si rende conto che il tempo, secondo la scienza, sarebbe privo di durata: infatti il tempo della scienza è un tempo spazializzato.  Un' immagine del tempo inteso in questo modo, monotonamente meccanico nella sua ripetizione, viene fornita da un oggetto comune e conosciuto, l' orologio. Questo offre la rappresentazione dell' attuale istante attraverso la posizione delle lancette, senza conservare nulla dei momenti passati. L' autore osserva inoltre che questo tempo, possiede una grande utilità pratica, in quanto mediante il suo carattere di misurabilità che è possibile l' organizzazione della vita sociale: se infatti non ci fosse il tempo degli orologi, non potremmo prendere un treno, l' economia entrerebbe in crisi e il caos governerebbe la società. Si comprende perciò come il tempo della scienza sia necessario e utile. Ma è l' unico?
Seguendo Sant' Agostino, Bergson osserva che oltre al tempo della scienza, vi è anche il tempo della conoscenza, il quale è concepito come flusso continuo, incessante movimento degli stati di coscienza in cui passato, presente e futuro si fondono insieme compenetrandosi. Nel tempo della conoscenza non vi sono momenti spazializzati, che cioè sono rappresentabili esteriormente mediante contrassegni: il tempo della conoscenza è un tempo dato dal confluire del passato nel presente tramite la memoria e l' anticipazione. In questo tutte e quante le modalità di misurazione, come ora, giorno, anno, perdono significato.
Il tempo dello spirito è quindi un tempo interiore, che presenta più caratteristiche:
- E' IL TEMPO DELLA DURATA
- E' IL TEMPO DELLA VITA
- E' TEMPO QUALITATIVO
- E' UN FLUSSO CONTINUO 


"Vi è almeno una realtà che noi cogliamo dall' interno, per intuizione, e non per semplice analisi: ka nostra persona nel suo scorrere attraverso il tempo, il nostro io che dura. Vi è un flusso continuo. E' una successione di stati: mentre li provavo erano così solidamente organizzati, così profondamente animati da una vita comune, che non avrei saputo dire dove uno qualsiasi di essi finisse e l' altro cominciasse. E', se si vuole, lo svolgersi di un rotolo. Ma è anche, altrettanto, un arrotolarsi continuo: coscienza significa memoria."
(Henri Bergson) 


La coscienza dunque si identifica  con la memoria, intesa da Bergson in senso più stretto rispetto a quello tradizionale. Bergson diversifica la memoria in 3 aspetti:
1) RICORDO PURO O MEMORIA PURA
2) RICORDO-IMMAGINE
3) PERCEZIONE

1) Il ricordo puro o memoria pura, è la coscienza stessa, che è pura durata spirituale. Questa costituisce il deposito di tutti i ricordi passati. Il ricordo puro rappresenta quindi il nostro trascorso, il nostro passato, che ci accompagna sempre, anche se non ce ne accorgiamo. Siamo perciò sia attualità che storia vissuta.
2) Il ricordo-immagine è l' atto mediante cui il nostro passato si concretizza. Esso forma una piccola porzione dell' intera memoria e questo spiegherebbe il motivo per il quale secondo  Bergson la coscienza, sebbene memoria, non è sempre ricordo. Dato che è un fatto fisiologico, perché appunto dipende dal cervello, il materializzarsi del ricordo puro nel ricordo-immagine è suscettibile di disturbi e alterazioni.
Interessante è l' interpretazione che Bergson fornisce in merito alle malattie che alterano la funzione del ricordo: egli sostiene che queste malattie sono in grado di colpire solo il ricordo-immagine, ovvio la memoria di superficie. Quello che si perde in queste disfunzioni è la capacità del cervello di fare da "filtro"  al materiale in essa contenuto. Gli episodi delle persone, che, dopo un periodo di coma, si risvegliano e ricordano gli eventi che li vedono protagonisti sembrano confermare l' intuizione di Bergson; da ciò capiamo che il nostro passato, il nostro trascorso, non si perde mai: è virtualmente sempre disponibile, anche inconsciamente.
3) La percezione è la capacità che ci permette di legarci al mondo circostante. Un altro compito svolto dalla percezione è quello di selezionare i dati più utili ai fini della nostra vita concreta. Essa rientra nelle attività corporee che limitano e racchiudono la coscienza. Memoria e percezione equivalgono ai due estremi di corpo e spirito. La percezione isolata può essere l' occasione, l' opportunità del riaffiorare il ricordo, ossia l' emergere della memoria profonda sommersa sotto il consapevole, costituendone però lo sfondo e l' impulso costante. 
--> NON E' DIFFICILE SCORGERE NELLE RIFLESSIONI E NEI PENSIERI DI BERGSON
      ECHI FREUDIANI E RIMANDI A FREUD A PROPOSITO DELL' INCONSCIO
--> IMPORTANTE: MEDIANTE LA TEORIA DELLA MEMORIA E DELLA PERCEZIONE
      BERGSON SUPERA LA DICOTOMIA NELLA DIFFERENZIAZIONE TRA INTERIORITÀ
      ED ESTERIORITÀ' DEL TEMPO, TRA MONDO DELLO SPIRITO E MONDO FISICO, CHE
      POI SAREBBERO I POLI OPPOSTI DELLA VITA DELLA COSCIENZA!

Un altro passo verso il superamento della divisione tra materia e spirito è rappresentato da "L' evoluzione creatrice", capolavoro del 1907 del filosofo. L' opera in questione approfondisce l' idea della continuità tra vita biologica e vita della coscienza. In ambe le vite scorre una sola forza vitale. 
Bergson sostiene che la vita abbia inizio da un solo impulso originario, lo slancio vitale o "élan vital" che consiste in un' energia che crea continuamente e in modo non prevedibile una gran varietà di forme. Quest' ultima non è né reversibile né scomponibile, implicando invece la conservazione integrale del passato. E' un impulso invisibile e spirituale che trabocca nel mondo, il quale sarebbe visto come l' unico organismo vivente di cui tutte le cose e i soggetti sono partecipi. Questo slancio, questa forza, questa energia, si espande nell' universo, indirizzando in ogni direzione con però, un' intensità variabile che spiega la distinzione tra esseri e specie, soprattutto la differenziazione tra mondo vegetale e mondo animale. Per Bergson la vita è creatività libera e non prevedibile.  L' unità precede la distinzione degli esseri umani e può essere individuata come "vis a tergo", una forza che scaturisce da una sola fonte iniziale. Inizialmente la vita è infatti "totipotenza", cioè opportunità do diventare tutte le cose, che poi progressivamente si attualizza e specifica. In merito a ciò il filosofo paragone al vita dell' universo all' esplosione di un proiettile in mille pezzi, che a loro volta esplodono nuovamente in altri mille pezzi e frammenti: ognuno di noi è un frammento, ma la contingenza ha fatto sì che fossimo proprio così per la straordinaria libertà dell' energia vitale. 
Per esprimere il fatto che l' evoluzione implica una realtà in movimento, la quale si manifesta e si genera da sé, espandendosi e cambiando in continuazione, Bergson parla di "evoluzione creatrice".  E proprio in virtù di questo concetto sarebbe possibile superare il dualismo tradizionale tra attivo e passivo, tra materia e spirito. Secondo Bergson la realtà sarebbe sempre unica e la materia sarebbe il risultato dell' estinguersi della propulsività dello slancio. 
La profonda essenza della realtà è caratterizzata da uno slancio vitale che implica durata, unità e continuità. Bergson afferma che la conoscenza dell' uomo può essere di due tipologie: è possibile conoscere un oggetto dall' esterno e conoscere un oggetto mediante l' intuizione. 
Quando si conosce un oggetto dall' esterno si va fare un' analisi dell' oggetto in questione, per poi ricomporne in maniera breve i diversi aspetti. Si tratta della modalità dell' intelligenza, che isola e irrigidisce gli elementi della realtà considerata, offrendone un' immagine razionale, parziale e astratta. Una conoscenza dunque che non ha valore dal punto di vista teoretico, ma solo pratico.
Abbiamo visto che è anche possibile conoscere un oggetto tramite l' intuizione, ossia attraverso l' atto di "identificazione simpatetica"; cos' facendo l' oggetto viene colto subito, dall' interno, nella sua totalità. Questo' ultima forma di conoscenza è l' unica che permette di capire pienamente la coscienza e la vita, in quanto è l' unica che rispetta l' integrità. All' intuizione fanno ricorso metafisica, ritenuta dal filosofo come scienza assoluta del reale, e arte. Per Bergson la critica mossa alla metafisica è conseguenza del fatto di aver tentato di penetrare l' oggetto metafisico tramite lo strumento dell' intelligenza, il quale in questo ambito risulta essere poco consono. Il filosofo inoltre ritiene che prima di speculare, si deve vivere e che prima di essere homo sapiens, l' uomo è homo faber: la cosa essenziale è non avere la pretesa di estendere la categorie della scienza al di là del loro ambito legittimo. 
I concetti per Bergson sono i simboli che usiamo per indicare i frammenti della realtà che abbiamo astratto dal flusso vitale tramite il procedimento dell' analisi intellettuale, le parole sono invece i segni fonetici con cui li riferiamo agli altri. Concetti e parole, per Bergson, comportano naturalmente la divisione, la scomposizione e perciò anche la per così dire "distorsione" della realtà, che per essere completamente compresa nella sua essenza spirituale e unitaria, non può essere concettualizzata e nemmeno espressa in termini linguistici. Paradossalmente lo stesso Bergson si trova in difficoltà a comunicare e a trasmettere la visione del mondo che ha colto attraverso l' intuizione. Egli non può fare altro che divenire un indicatore di percorsi, avvalendosi di metafore e immagini. Questo ci fa capire meglio l' interesse di Bergson per l' arte, considerata un vero e proprio modello conoscitivo, e la ricchezza espressiva delle sue opere, tramite cui il grande Bergson ha vinto il premio Nobel per la letteratura.
Nella sua ultima opera, dal titolo "Le due fonti della morale e della religione", opera che risale al 1932, Bergson applica alla società le categorie che aveva usato per rappresentare la dialettica tra slancio vitale e materia. Il filosofo dunque, mediante la contrapposizione, individua due tipi di organizzazione sociale: la società chiusa e quella aperta. La prima è quella più autoritaria, mentre la seconda si basa sulla "morale assoluta" che appunto promuove la libertà e la creatività dei soggetti. Queste due differenti forme e tipologie di morale equivalgono due diversi atteggiamenti religiosi: 
1) RELIGIONE STATICA
2) RELIGIOME DINAMICA

1) SI SERVE DEI MITI E DELLE SUPERSTIZIONI PER PROTEGGERE L' UOMO DALLE SUE
    PAURE, FORNENDO ALL' UOMO UNA SPERANZA CONSOLATORIA
2) SI MANIFESTA NELLA VITA DEI MISTICI, E' RARA, CONSISTE NELLA
    PARTECIPAZIONE (ATTRAVERSO L' AMORE) ALLO SLANCIO CREATORE DELLA VITA
    E NELL' UNIFICAZIONE CON DIO (DATO CHE LO SLANCIO CREATORE "E' DI DIO, SE
    NON DIO STESSO"

Identificato lo slancio creatore con Dio e Dio con l' amore, Bergson vede nella mistica il solo rimedio ai mali morali e sociali e invoca un supplemento d' anima per un mondo che vede pervaso da meccanica e tecnica. 


giovedì 26 marzo 2020

La vita di Bergson




Henri Bergson è un filosofo francese, nasce a Parigi nel 1859. Dopo aver concluso gli studi presso un liceo frequenta la cosiddetta "Scuola normale" o "École Normale", dove si laurea in matematica e filosofia.
Grazie alla consecuzione della laurea universitaria il francese ottiene l' incarico di insegnante, prima ad Angers e poi a Clermont-Ferrand.
Nel 1899 si reca definitivamente a Parigi.
La carriera quale docente di Bergson prosegue: egli infatti nel 1900 inizia a insegnare al Colège de France e dal 1910 al 1924 occupa la cattedra di filosofia moderna.
Facente parte dell' Académie Française, nel 1928 gli viene conferito il premio Nobel per la letteratura. 
Henri Bergson muore a Parigi nel 1941 durante l' occupazione nazista della Francia, dopo aver conosciuto, in quanto ebreo, la furia e gli orrori delle leggi razziali e della persecuzione. Proprio gli ultimi episodi della sua vita, gli episodi prima di morire, hanno convinto il filosofo a rimanere fedele alla sua religione d' origine fino alla morte, nonostante dentro avesse intimamente maturato la conversione al cattolicesimo.

Molte sono le opere e i capolavori di Bergson, come ad esempio il "Saggio sui dati immediati della coscienza". Questo viene pubblicato nel 1889, in questo saggio lo scrittore fa parlare, fa esprimere ed emergere il suo scopo di mettere in evidenza e rappresentare la dimensione iniziale della coscienza.
Del 1896 risale "Materia e memoria", dove l' autore chiarisce la relazione tra corpo e spirito.
Sicuramente il maggior capolavoro di Bergson è "L' evoluzione creatrice" del 1907. 
L' ultima opera è stata scritta e pubblicata nel 1932 ed è intitolata  "Le due fonti della morale e della religione".

La filosofia di Freud



  • LA VIA D' ACCESSO ALL' INCONSCIO

Secondo il padre della psicoanalisi, ovvero Freud, vi è una dimensione inconscia della vita psichica, in cui vengono eliminati traumi, impulsi, ricordi spiacevoli, tendenze generalmente sessuali e per questo ritenute pericolosi per la coscienza morale dell' individuo. Freud perciò decide di trasformare completamente l' immagine dell' io e dell' uomo, della sua personalità e coscienza: l' uomo per Freud è una figura dipendente, dominata da pulsioni e conflitti interiori.
La via che più preferisce Freud per accedere all' inconscio sarebbe l' interpretazione dei sogni e secondo il medico i sogni sarebbero l' espressione dei desideri più profondi. Nei sogni Freud osserva due livelli di significato: un livello manifesto e un livello latente.
Il livello manifesto coincide con la scena del sogno come viene raccontata e vissuta; mentre il secondo livello forma la dimensione pulsionale censurata ed espressa nella scena manifesta solo in modo camuffato e velato. Il livello latente ha bisogno di un' interpretazione dato che il suo significato, essendo sottoposto alla censura dell' individuo, subisce una modifica e viene reso irriconoscibile tramite alcune tecniche e questo è il cosiddetto "lavoro onirico". Freud sostiene che oltre ai sogni, vi siano altri segnali del comportamento umano che rivelano la presenza di un conflitto interiore: lapsus e atti mancati. In quest' ultimi si tratta di errori nell' uso del linguaggio o nelle azioni, che si compiono per l' intervento di una tendenza inconsapevole che vince le barriere della censura e turba il comportamento normale.


  • LA COMPLESSITA' DELLA MENTE UMANA E LA NEVROSI

Freud elabora  una prima descrizione della psiche, definita "prima topica". Le zone, che costituiscono la prima topica, sono 3:
1) COSCIENZA = PARTE CONSAPEVOLE DEL PENSIERO;
2) INCONSCIO = PARTE INCONSAPEVOLE DOVE VENGONO ELIMINATE PULSIONI, TENDENZE, RICORDI IMMORALI E INACCETTABILI;
3) PRECONSCIO = PARTE CARATTERIZZATA DA CONTENUTI TEMPORANEAMENTE INCONSAPEVOLI MA PASSIBILI ALLA COSCIENZA
Il meccanismo della rimozione è descritto da Freud come meccanismo di difesa, il quale consiste in una particolare forma di oblio. La rimozione è un atto inconsapevole e un processo stabile, a meno che però non subentrino situazioni particolari che la vincono, come ad esempio la terapia analitica.
I fattori eliminati nell' inconscio, rimanendo attivi e premendo per emergere alla coscienza, continuano a condizionarla tramite le formazioni di compromesso: sogni, lapsus, atti mancati.
Freud elabora poi una "seconda topica", una seconda descrizione della psiche che permette di spiegare meglio l' interazione dinamica tra le differenti componenti. La seconda topica osserva 3 istanze o funzioni:
1) ES = COSTITUISCE LE NOSTRE PULSIONI CHE SOTTOSTANO AL PRINCIPIO DI PIACERE
2) SUPER- IO (-EGO) = E' LA COSCIENZA MORALE, CIOE' L' INSIEME DI DIVIETI E PRESCRIZIONI CHE SIN DALL' INFANZIA SONO STATI IMPOSTI DA GENITORI, DAL MONDO CIRCOSTANTE  E CHE NOI ABBIAMO ASSIMILATO
3) IO (EGO) = LUOGO DELLA MEDIAZIONE E DELLA SINTESI TRA ED E SUPER-IO (-EGO)
Secondo Freud l' Io/ Ego deve fare i conti con tre padroni: Es, Super-Io (-Ego), mondo esterno.
Questa struttura conflittuale della psiche è alla base della formazione della nevrosi, un particolare disturbo psichico. Il sintomo è il segnale della presenza di un conflitto, di cui lo psicoanalista deve comprendere il significato e decifrarne le regole. Uno dei numerosi procedimenti usati dal padre della psicoanalisi così da interpretare il linguaggio dell' inconscio è quello delle "libere associazioni". Tramite le libere associazioni, il paziente, abbandonandosi ai pensieri in una situazione adatta al rilassarsi, lascia fuoriuscire liberamente fattori legati ai materiali eliminati che sono il punto di partenza della sua patologia.


  • LA TEORIA DELLA SESSUALITÀ'

Freud definisce una novità: la teoria della sessualità quale ricerca del piacere erotico. Questa è molto diversa rispetto alle teorie tradizionali, infatti considera l' istinto sessuale come un' energia che presenta caratteri propri. La pulsione sessuale, quindi l' istinto sessuale, prende il nome di "libido". La libido sarebbe una forza che presenta una certa plasticità e una sorta di polimorfismo. Le caratteristiche della libido, plasticità e polimorfismo appunto, permettono a Sigmund Freud di capire sia il meccanismo di formazione dei sintomi nevrotici,  sia le perversioni sessuali. Questa concezione della libido porta il neurologo alla scoperta del mondo infantile nell' ottica sessuale. Freud infatti riconosce nella sessualità infantile 3 fasi, ognuna delle quali presenta una propria funzione e una propria zona erogena:
1) ORALE = FUNZ. DELLA SUZIONE; ZONA ER. BOCCA
2) ANALE = ANO E CONNESSE FUNZIONI CORPORALI COME  ZONE EROGENE
3) GENITALE = ZONA ER. ORGANI GENITALI; SI DIVIDE IN GENITALE E  IN FALLICA
    --> ALLA FASE FALLICA RISALE L' ORIGINE DI CIO' CHE FREUD DEFINISCE COME
         "COMPLESSO DI EDIPO", DALLA RISOLUZIONE DI QUESTO DIPENDE, PER FREUD,
          L' OPPORTUNITA' DA ADULTO DI AVERE UNA VITA SESSUALE NORMALE
          EVITANDO L' INSORGRE DI NEVROSI O ALTRE PATOLOGIE


  • L' ORIGINE DELLA SOCIETA' E DELLA MORALE

Freud sostiene e afferma che la società, la morale e la religione derivano dal bisogno del gruppo sociale di contenere e sviluppare istinti, impulsi e pulsioni universali ma inaccettabili, in quanto immorali e distruttivi. L' osservazione indiretta di Freud delle popolazioni primitive gli offre l' esempio di un modo di organizzazione sociale che sembra appunto dare ragione alle sue ipotesi: la totemica. Quest'ultima gli appare come la forma simbolica tramite cui la collettività riesce a far emergere e a esprimere, in modo controllato e responsabile, l' istinto originale all' incesto e l' aggressività che esso produce. I tabù, come divieti e proibizioni dati dal totemismo, raffigurano per Freud i modelli iniziali delle norme che regolano le società moderne, norme di carattere religioso, morale e civile. Queste stesse norme sono ritenute da Freud sia come modalità di repressione, che allo stesso tempo essenziali alla convivenza, che sarebbe impraticabile se le tendenze egoistiche e amorali dell' Es fossero libere di realizzarsi.

mercoledì 25 marzo 2020

La vita di Freud




Sigmund Freud nasce nel 1856 a Freiberg.
Nel 1860 si trasferisce a Vienna a causa della complicata situazione economica della famiglia.
Successivamente, nel 1881, si laurea in medicina e inizia tirocinio in diversi laboratori di ricerca, proseguendo poi presso il reparto di malattie nervose dell' ospedale viennese e nel 1885 ottiene la libera docenza in neurologia.
Freud oltre a ciò, ottiene anche una borsa di studio che gli consente di andare nella capitale francese presso il dottor Charcot. Al ritorno dalla Francia, nel 1886, Freud apre a Vienna uno studio privato così da poter curare le malattie nervose.
Colpito da un tumore alla mascella, Freud viene quindi sottoposto a numerose operazioni chirurgiche. Ernst Jones, biografo e suo fedele seguace, prende nota dei terribili momenti che Freud, durante la malattia, è costretto ad affrontare. Inoltre Jones appunta il lento declino fisico di Freud (considerato padre della psicoanalisi), fino alla sua morte.
Gli ultimi anni trascorsi da Freud sono tormentati anche dal dilagare della furia nazista, la quale censura i suoi scritti e il movimento psicoanalitico. L' 11 marzo 1938 i nazisti invadono l' Austria, e a tal proposito a Freud viene suggerito di abbandonare la capitale austriaca, egli è però troppo debole per potersi mettere in viaggio. La polizia nazista minaccia S.Freud e la sua famiglia e questo li obbliga a trasferirsi, prima a Parigi e poi a Londra, dove morirà il 23 settembre 1939.

Opere di Sigmund Freud:
- collaborazione con Joseph Breuer alla stesura di "Studi sull' isteria" (1895);
- "L' interpretazione dei sogni"(1900);
- "Psicopatologia della vita quotidiana" (1901);
- "Tre saggi sulla sessualità" (1905);
- "Totem e tabù" (1912-1913);
- "Introduzione alla psicoanalisi" (1915-1917);
- "Al di là del principio del piacere" (1920);
- "Psicologia delle masse e analisi dell' Io" (1921);
- "Il disagio della civiltà" (1929);
- "Costruzioni in analisi" (1937);
- "Psicoanalisi" (1938)

mercoledì 11 marzo 2020

La filosofia di Kierkegaard




S.A. Kierkegaard: autore che ha sottoposto a indagine la condizione umana, mettendone in luce il carattere problematico. Per lui l' esistenza è possibilità, e come tale comporta una difficile scelta tra alternative inconciliabili.

Nemico  dell' idealismo è il danese Kierkegaard, il quale concentra la propria riflessione  sul problema dell' uomo e dell' esistenza e questo spiega il fatto che lui è considerato il precursore
dell' Esistenzialismo.
L' Esistenzialismo è un complesso e particolare fenomeno culturale che si sviluppa in Europa successivamente alla Seconda Guerra Mondiale.

Il filosofo nasce nel 1813 a Copenhagen e si forma nel clima di una cupa religiosità dove era forte il senso del peccato. Søren cresce attanagliato dall' incubo del peccato, incubo che lo porta a nutrire una concezione negativa del rapporto umani e di conseguenza lo porta a maturare una concezione negativa dell' essere dell' uomo.
Nel 1841 il danese si fidanza, ma qualche mese poi improvvisamente tronca il fidanzamento, ormai convinto di non poter realizzare una vita "normale" e di essere un' "eccezione". Lo stesso Kierkegaard ammette di aver compreso e di aver imparato, grazie a questo non semplice passaggio della sua esistenza, una cosa essenziale: Dio ha la precedenza su tutto!
Per venire a capo della propria condizione spirituale, il giovane filosofo decide di  dedicarsi alla letteratura e alla filosofia. Inizialmente Kierkegaard critica l' ironia dei romantici apprezzando, al contrario, l' ironia socratica, intesa da lui stesso come un mezzo per condurre gli uomini alla consapevolezza della drammatica serietà della vita.
L' ironia socratica si basa sul "sapere di non sapere", ciò consiste nel  giudicare la propria conoscenza sempre come perfettibile e limitata.
Kierkegaard trova in Socrate un modello, il suo maestro! In Socrate Kierkegaard vede sintetizzate le tematiche che più apprezza: il bisogno della scelta, l' indagine filosofica come impegno personale che arriva a mettere a repentaglio la vita stessa di chi l' abbraccia.
Kierkegaard nutre una sorta di insofferenza per le costruzioni teoriche e le chiacchiere filosofiche. Per lui è importante capire ciò che ognuno di deve fare, cercare la propria verità, la verità per la quale vivere e per la quale morire.
Ciò che interessa Kierkegaard è quindi riflettere sulla propria esistenza, evidenziandone la problematicità, accentandone l' irrazionalità e le contraddizioni.
Bisogna poi dire che Kierkegaard afferma che quello che conta è il "mio", io, unico, singolo e irripetibile a cui è affidata la responsabilità della scelta.
Il tema della "scelta" è il cardine al quale si sviluppa l' intero pensiero di Kierkegaard. Il cristianesimo del pensatore non è però da confondere con quello della Chiesa ufficiale.
La Chiesa è accusata dal filosofo di essere compromessa con interessi mondani e di trascurare gli aspetti spirituali e interiori che caratterizzano un' autentica religiosità. Gli uomini di Chiesa sono criticati da Kierkegaard per aver limitato il messaggio di Cristo a mera dottrina, ossia per averne fatto una speculazione teologica, tralasciando la parte essenziale del cristianesimo: imitazione dell' esempio di Cristo; impegno a seguire una vita all' insegna di abnegazione, ascesi e sacrificio. 
A differenza di Cristo, il quale aveva testimoniato la sua verità sacrificando la sua stessa vita, i cristiani considerano il cristianesimo come una scelta semplice e leggera.
Kierkegaard si scaglia contro quello che definisce una forma di "ateismo cristiano", questo ignora il volto più severo e inquietante di Dio per poi sostituirlo con una versione addolcita. Si comprende perciò che l' intera riflessione di Kierkegaard parte da una visione fortemente rigorosa e intransigente del messaggio cristiano. 
La scelta cristiana del pensatore non ammette compromessi e si presenta come una secca e obbligata alternativa tra il mondo e Dio. Kierkegaard pone l' uomo di fronte alla drammaticità dell' esistere, che risiede nell' inevitabilità della decisione tra termini contraddittori e inconciliabili. Si tratta di una scelta giocata sul piano dell' esistenza, infatti ciò che dà valore all' uomo è la capacità di assumersi la responsabilità della propria vita.
Kierkegaard individua 3 STADI o FASI che simboleggiano le possibilità esistenziali dell' uomo nel mondo:
1) STADIO ESTETICO
2) STADIO ETICO
3) STADIO RELIGIOSO 

Quest' ultimi sono delle alternative inconciliabili. A questo proposito, Kierkegaard prima pubblica l' opera "Aut-Aut" e dopo pochi mesi "Timore e tremore".

1) STADIO ESTETICO => VITA ESTETICA

La vita estetica è propria dell' uomo che vive nell' istante e nella ricerca continua del piacere, scappando da ciò che gli sembra noioso, ripetitivo e monotono. Per spiegare il suo pensiero, Kierkegaard descrive figure concrete di ioni che vivono assaporando totalmente le bellezze le attrattive dell' esistenza, facendo di questa un' opera d' arte. La vita estetica è rappresentata da Johannes e dalla figura del Don Giovanni. Se Don Giovanni incarna la sensualità allo stato puro, colui che gode del piacere fisico, del possesso e della conquista materiale delle donne; Johannes, al contrario, è il seduttore intellettuale che desidera godere "spiritualmente" dei momenti in cui si abbandona all' amore. A questo obiettivo egli si applica a un calcolo raffinato che concentra e distilla il piacere, sfruttando la donna-amante come strumento di un gioco amabile e senza scrupoli.
Kierkegaard è convinto che la vita estetica sia insufficiente. Chi si dedica solo al piacere disperde la propria personalità nelle esperienze che gli si presentano e si trasforma di continuo, passando da un' opportunità all' altra; egli arriva a svuotare il suo essere e a perdere il significato della sua esistenza, cadendo nella noia e nella disperazione. Kierkegaard nota che la vita, come desiderio costante , come affannosa e insaziabile ricerca di qualcosa che non si ha e mai si potrà ottenere davvero, non può che avere un esito negativo.



2) STADIO ETICO => VITA ETICA

La vita estetica, vita consumata all' insegna dell' appagamento e del piacere, porta alla disperazione. infatti per tutti, secondo Kierkegaard, arriva l' ora della verità (=mezzanotte), nella quale ognuno deve gettare la maschera: dopo il tempo trascorso a "giocare" e nascondersi, giunge il momento dove bisogna guardare in faccia la realtà, dove bisogno scegliere! Nella vita estetica l'uomo si lascia vivere, in balia del piacere dell' attimo. Quando però ci si accorge dello smarrimento che ne deriva,  è necessario allora prendere posizione, assumersi la responsabilità, compiere il passaggio verso lo stadio etico detto anche "stadio del dovere".  Per Kierkegaard la disperazione è una cosa positiva perché, se riconosciuta come condizione propria dell' essere umano avvolto nella superficialità, conduce l'uomo a decidere diversamente, essendo consapevole che nella scelta è in gioco il proprio destino. La "scelta" caratterizza lo stadio etico, stadio dominato da responsabilità. La vita etica è rappresentata dalla condizione del marito. La famiglia meglio esprime  l'ideale del dovere morale nel senso più elevato. Nel matrimonio l' amore acquista spessore e profondità: non si può fare quindi a meno della prosa, della normalità, intesa come dovere e impegno quotidiano. La donna, che nella concezione estetica era oggetto di raffinato piacere, nella vita etica simboleggia la concretezza, l' amabilità, la felicità stabile e durevole. Per Kierkegaard la donna è perfetta nella sua natura finita e terrena, dà pace allo spirito irrequieto, infinito e idealistico dell' uomo caratterizzato dalla brama verso qualcosa di trascendente. Sempre per questo pensatore, la donna sarebbe in buoni rapporti col tempo. Inoltre il lavoro crea la comunità, rappresenta il "dovere"comune a tutti. Nella vita etica l' individuo sottopone la propria individualità alle regole della famiglia e a quelle della società; egli sceglie sé come compito, rende un dovere generale unendo universale e particolare, divenendo un uomo singolo, affrontando e superando la frammentarietà della personalità estetica. La descrizione della vita etica simboleggia il modello di vita borghese, basato sul matrimonio, famiglia e lavoro: una vita segnata dalla solita die rapporti. Sebbene l' apparente serenità, nemmeno lo stadio etico è completamente soddisfacente, sarebbe infatti minacciato da conformismo: un tarlo rode la tranquillità della vita familiare e la normalità dei rapporti lavorativi; ritorna l' insoddisfazione pure in questa situazione apparentemente immobile e appagante.



3) STADIO RELIGIOSO => VITA RELIGIOSA

Possiamo capire che per Kierkegaard lo scopo ultimo dell' uomo è la realizzazione della vita religiosa. Il passaggio allo stadio religioso è preannunciato da sentimenti che conseguono l' inconsapevole disagio per la scelta di un' esistenza incentrata sul proprio io, come il senso di colpa e l' inquietudine. Progressivamente il soggetto comprende il profondo squilibrio tra le cose effimere e la dimensione dell' eterno; avverte l 'inadeguatezza morale di fronte a Dio, la distanza tra la natura di peccatore e la perfezione divina, dunque si pente. Il pentimento è proprio la condizione che introduce al "salto" della fede, tutt' altro rispetto a moralità e ragione. Emblema della vita religiosa è la figura di Abramo, il quale vissuto sempre nel rispetto dei propri doveri, improvvisamente riceve da Dio il comando di uccidere il figlio Isacco, in netto contrasto con ogni legge morale e sociale. Abramo si trova perciò nella situazione di dover scegliere: obbedire o meno all' ordine di Dio, un ordine inconcepibile per la morale del genere umano. Abramo decide di compiere il salto della fede, sceglie infatti Dio; la sua scelta è irrazionale e assurda. La fede è paradosso in quanto è contraria all' opinione umana e del mondo, e implica un rapporto individuale tra Dio e l' uomo. L' irrazionalità del comando divino consiste nel segno che Dio ha scelto il patriarca Abramo e gli ha fatto il dono della fede.
Il senso che emerge dall' episodio biblico è, secondo Kierkegaard, che la fede non tollera alcuna giustificazione razionale e crea inquietudine nell' uomo: la fede è un salto nel buio, è paradosso e scandalo.
L' uomo è ex-sistenza, ovvero un essere che può usare da sé nel senso che è un essere in grado di trascendere la propria condizione proiettandosi nel futuro; l' uomo è progettualità e possibilità, è quello che decide di diventare. La possibilità si presenta perciò come qualcosa di non definito, se volessimo definire il concetto di possibilità, diremo che è un rischio che genera angoscia dato che non è sorretto da alcuna indicazione, è pura possibilità. L' angoscia risulta essere il sentimento essenziale dell' uomo posto innanzi alla propria situazione nel mondo. L' angoscia non si riferisce a nulla in particolare: è piuttosto il pilo sentimento della possibilità. Infatti l' uomo nel relazionarsi alle alternative che gli si offrono non ha sicurezza della loro realizzazione, si trova di fronte a scelte equivalenti ma allo stesso tempo opposte, tra le quali deve prendere posizione rischiando errore e  peccato.
Per quanto l'uomo non possa riscattarsi dal senso angosciante della libertà, può trovare nella fede in Cristo una via per uscire dal dramma della sua esistenza. L' uomo, oltre che dall' angoscia, è caratterizzato dal sentimento della disperazione. La disperazione si riferisce alla soggettività, riguarda il suo rapportarsi a se stessa. Kierkegaard spiega che l' uomo può essere disperato in un senso duplice: quando non riesce ad accettarsi per quello che è e quando si accetta per quello che è. In entrambi casi la possibilità va incontro allo scacco, si mostra come "impossibilità". La disperazione è perciò dettata dal bisogno e impossibilità della scelta e in questo senso è definita come "malattia mortale" dell' io, tormentato da un' insanabile lacerazione tra finito e infinito, realtà e possibilità.
La fede è l' unico antidoto alla disperazione!
La fede non è rassicurante poiché sconvolge la ragione e super ia suoi limiti. Tutti i dogmi del cristianesimo sono infatti apparentemente contraddittori, a partire da quello della trascendenza di Dio. Poi nella figura di Cristo il paradosso della religione raggiunge la sua massima manifestazione.
La fede quindi si può dunque solo vivere!
Nel bisogno di basare l' esistenza umana su Dio si esprime l' estraneità di Kierkegaard rispetto al proprio tempo, un tempo che nutriva molta fiducia nel progresso dell' umanità e nella storia. La prospettiva filosofica  di S.A. Kierkegaard è impegnativa e complessa, ma di straordinaria suggestione, dato che i temi che tratta riguardano da vicino gli uomini di tutti i tempi.