venerdì 29 maggio 2020

La filosofia di Heidegger



DASEIN: SI TRATTA DI UN' ESPRESSIONE TEDESCA, TRADOTTA IN ITALIANO CON "ESSERCI", CHE IN HEIDEGGER INDICA LA PARTICOLARE CONDIZIONE IN CUI SI TROVA L' UOMO, IN QUANTO "ENTE CHE E' QUI", CIOE' ENTE "GETTATO" DA SEMPRE IN UNA SITUAZIONE SPAZIO-TEMPORALE DETERMINATA. LA CARATTERISTICA FONDAMENTALE DEL DASEIN E' L' ESISTENZA. 

Nella prima fase del suo pensiero, espressa ad esempio in Essere e tempo, egli privilegia l'Esserci, cioè l'Uomo, come luogo in cui soltanto affiora il senso dell'essere, e dunque come centro della realtà.
Nella seconda fase del suo pensiero, successiva alla Kehre (attorno al 1930), Heidegger rifiutò la definizione di esistenzialista (in particolare nella Lettera sull'umanesimo del 1947): il baricentro di tutto non è più l'uomo, ma l'essere.
Con Husserl, Heidegger rinuncia a una interpretazione globale della realtà, cioè alla metafisica (intesa almeno in senso classico): la ragione non può interpretare esaurientemente il senso dell'essere; in altre parole l'uomo non può, ragionando, arrivare a dire: “ecco, adesso ho capito perché c'è la realtà che vedo e perchè io vivo”. Come per Husserl tutto quello che la filosofia può fare è, piuttosto che intrepretare, descrivere, e ciò che è descritto è il fenomeno. La filosofia è fenomenologia, inventario descrittivo dei fenomeni. Ma a differenza di Husserl, che era più fiducioso nella possibilità di cogliere delle strutture universali del fenomeno (mediante l'intuizione eidetica), Heidegger rinuncia a una analisi fenomenologica del mondo, del fenomeno in sé, ritenendo unico ambito legittimo di indagine il fenomeno per me, soggetto esistente individuale.
È vero che Heidegger parla di cogliere il senso dell'essere, che è il fenomeno per eccellenza, ma in realtà per “cogliere il senso” egli dimostra di intendere solo una descrizione dei fenomeni in cui l'essere si manifesta a me, al singolo, all'Esser-ci.
Sein und Zeit (Essere e tempo) è il titolo dell'opera principale di Heidegger (del suo “primo periodo”, ma anche, secondo molti, dell'intera sua produzione). Per lui la metafisica occidentale avrebbe, lungo tutto il corso della sua lunga storia, da Platone in poi, ridotto quello che dovrebbe, a sua stessa detta, essere il suo oggetto, cioè l'essere, a una sola delle sue dimensioni, l'ente in quanto presente e disinteressatamente contemplabile, presumendo di poterlo oggettivare e possedere.
L'essere infatti, se si dà solo negli enti, è però ben più che gli enti: gli enti sono qualcosa di rassicurante nella loro presunta stabilità, ma l'essere va oltre l'ente, è inafferrabile, anche e soprattutto per la sua estensione a tutte le dimensioni del tempo, non solo il presente, ma anche il passato e sopratutto il futuro.
La metafisica conosciuta finora è stata invece una metafisica della presenza, che ha arbitrariamente tagliato via le dimensioni non possedibili dell'essere per limitarsi all'ente come presenza, oggettivabile concettualmente.Nella prima fase del suo pensiero Heidegger attribuisce all'uomo un ruolo decisivo nel coglimento del senso dell'essere. L'essere si dà solo negli enti, e in particolare in quell'ente privilegiato che è l'Esserci, il Da-Sein, ossia l'uomo come esistente individuale. L'uomo, l'Esserci, non è una cosa tra le cose, che possa contemplare disinteressatamente il mondo mettendo tra parentesi la propria soggettività. Questa è invece orizzonte intrascendibile. Non possiamo cogliere il senso dell'essere in sè, ma solo il senso dell'essere per me.
Il senso dell'essere sarà dunque colto nell'esistenza: quello che occorre perciò è una analitica dell'esistenza, una analitica esistenziale, che come analitica renda esplicito ciò che è già implicato nella nostra esperienza e nei nostri giudizi, e in quanto esistenziale colga l'uomo non come un quid da definire, oggettivandolo (come specie animale o fenomeno psicologico), ma come un quis, come soggettività esistente.
L'analitica esistenziale inventaria gli esistenziali, cioè le caratteristiche essenziali dell'esistenza, e che Heidegger distingue, in quanto modi di essere dell'uomo, del Dasein, implicanti uno Zu-sein, un aver-da-essere e quindi la libertà, dalle categorie, che sono modi di essere delle cose in sé stesse.

I principali esistenziali sono: 
- IN DER WELT SEIN => significa che l'Esserci è nel mondo vitale con immediata apertura; non si dà un diaframma tra io e mondo, come aveva pensato il dualismo gnoseologico moderno (da Cartesio in poi); in questo superamento del dualismo gioca il recupero brentaniano-husserliano del concetto aristotelico-scolastico di intenzionalità, tuttavia a differenza che in Aristotele e nel pensiero medioevale l'apertura intenzionale al mondo non è anzitutto teoretica, ma pratica: col mondo abbiamo ha a che fare immediatamente, ma per affrontarlo
- ZUHANDENHEIT => il primo atteggiamento dell'Esserci è pratico-affettivo, non è uno stupore distinteressato, ma un preoccuparsi, un prendersi cura (Besorgen): il mondo ci è immediatamente dato come qualcosa che sollecita la nostra cura, non la nostra curiosità; le cose, prima che belle o vere, ci si danno come utilizzabili (è il loro essere-alla-mano, Zuhandenheit)
- VERSTEHEN => la comprensione viene dopo, è il secondo atteggiamento verso il mondo, e non consiste tanto in una conoscenza contemplativa, ma nel proiettare delle possibilità
- MIT SEIN => essere-con-gli-altri, che sono dati immediatamente, seppur non come soggetti, come altri io, come persone determinate, ma come costituenti il medesimo mondo, come altri-in-generale
- SEIN ZUM TODE => dato che l'esistenza è temporalità, nella quale siamo inesorabilmente gettati e che ha come dimensione decisiva il futuro, la morte, che del futuro è l'inevitabile approdo non è un particolare insignificante o trascurabile, ma un tratto definitorio della stessa vita

L'essere gettato verso un futuro inesorabile e non-possibile, dove ogni determinatezza dell'ente si infrange, in ultima analisi essere gettato verso la morte, non è automaticamente e facilmente accettabile: la libertà dell'Esserci si esercita come accettazione o rifiuto della propria verità: si ha così una esistenza inautentica e una esistenza autentica. 
Tra la fine degli anni Venti e l'inizio degli anni Trenta Heidegger matura la Kehre, la svolta, come lui stesso la definì (la Kehre è una svolta in una strada di montagna, un tornante, che da un lato prosegue la strada precedente, ma in una direzione quasi opposta). Il contenuto di tale svolta è un abbandono di una prospettiva che metteva l'Esserci al centro, per collocarvi invece lo stesso Essere, di cui Heidegger sottolinea da un lato (con maggior vigore di quanto già in precedenza sostenuto) l'inafferrabilità, l'inesauribilità, dall'altro la possibile iniziativa di rivelarsi lui stesso all'uomo.
Centrale in questo senso è il concetto di Lichtung, che è un neologismo con cui Heidegger chiama la luminosità improvvisa in cui un viandante che cammini in mezzo a un bosco di fitti alberi può trovarsi, allorché sbuchi in una radura, dove può ammirare, sia pura per un breve tratto del cammino, un panorama ben più vasto e bello di quello che vedeva all'ombra degli alti e spessi alberi.Nella Lichtung è l'Essere stesso che si rivela, non noi che cerchiamo di ingabbiarlo nei nostri schemi. In questa fase Heidegger insiste sul concetto di verità come a-létheia, come non-nascondimento, dunque come autosvelamento che l'Essere fà, come e quando vuole.  
All'essere che si rivela nella Lichtung occorre una risposta di abbandono (Gelassenheit).
Il linguaggio che meglio può cogliere l'essere non è quello concettuale-filosofico (che ridurrebbe l'essere ad ente) ma quello artistico, e specialmente quello poetico. Grande è stato il suo interesse in particolare a Hölderlin.

Positiva in Heidegger è la volontà di obbedienza al dato, al reale, all'essere; negativo il credere che l'essere sia totalmente non-concettualizzabile: egli reagisce, giustamente a una lunga tradizione metafisica almeno in parte intaccata da un astratto essenzialismo, ma sospinge l'essere troppo oltre la ragione concettuale. Questa non possiede l'essere, è vero, ma lo attinge, sia pur imperfettamente.

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