lunedì 30 dicembre 2019

La filosofia di Schopenhauer


Nella  filosofia di Schopenhauer intervengono filosofie del passato che egli riesce a combinare tra lorofacendo riferimento a:
- Platone di cui apprezza la teoria delle idee e i paradigmi;- Kant di cui apprezza l’impostazione soggettivistica della gnoseologia;
- Illuminismo: per lui non c’è posto per nessun Dio, questa tradizione atea la recupera dal materialismo illuministico;
- Voltaire
 di cui apprezza la sua forma di dissacrazione nei confronti delle istituzioni e della politica;
-Romanticismodal quale trae alcuni temi quali il razionalismo, l' arte (musica), l' infinito e il dolore.

Schopenhauer in un momento di grande positivismo si fa promotore della filosofia pessimista, egli infatti non riesce a vedere la luce in fondo al tunnel.
Il suo bersaglio sarà Hegel, che definisce un individuo attento alla fama e non alla cultura e all’amore per la filosofia. La filosofia di Hegel è ottimistica e Schopenhauer ovviamente, avendo una visione pessimistica, non condivide ciò. 
Secondo Schopenhauer, Hegel è il “sicario della verità”.
Schopenhauer è stato il primo filosofo a prendere in considerazione la filosofia orientale poiché sostiene che essa possa arricchire il suo pensiero.
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Il punto di partenza della filosofia di Schopenhauer è la differenza kantiana tra fenomeno  e noumeno.  Egli recupera questa distinzione ma la riqualifica poiché, secondo lui, dietro il fenomeno c’è un velo: il cosiddetto "Velo di Maya" che copre il noumeno e dunque la vera essenza, la verità non è ciò che noi vediamo ma quello che c’è dietro quel velo. 
Il velo dev’essere squarciato, il fenomeno è soltanto la rappresentazione della realtà. Schopenhauer dice “il mondo è una mia rappresentazione”, espressione con cui apre la sua opera “Il mondo come volontà e rappresentazione”.
La rappresentazione della realtà si basa sul soggetto rappresentante e l' oggetto rappresentante: due facce della stessa medaglia poiché il soggetto rappresenta l’oggetto e l’oggetto è rappresentato dal soggetto, non può esistere uno senza l’altro.
Gli elementi sui quali l’uomo costruisce la rappresentazione sono:
- spazio (a priori della sensibilità)
- tempo (a priori della sensibilità) -> KANT
- causalità (categoria)
Tra le categorie, Schopenhauer sceglie solo la causalità poiché tutto ciò che accade, accade secondo il principio di causa-effetto. Se l’uomo si ferma al fenomeno, cioè alla conoscenza superficiale, non sarebbe più in grado di guardare oltre. E' necessario sorpassare questa rappresentazione perché essa è un sogno, un’illusione. Il vero mondo non è quello in cui l’uomo vive, in quanto questo  è solo una realtà illusoria.

Se Kant di fronte al noumeno si era arreso, Schopenhauer si vanta di aver risolto questa via d’accesso al noumeno. Secondo Schopenhauer l’uomo non è solo corpo, l’uomo è volontà; la volontà è il noumeno, il corpo è la via d’accesso.
L’ Io schopenhaueriano coincide con coscienza, volontà e corpo.
Per Schopenhauer la volontà di vivere presenta caratteri contrapposti a quelli del mondo della rappresentazione. La volontà è:
- unica: stessa volontà in tutti gli uomini;
- inconscia : raggiunge nell’uomo un grado di consapevolezza diverso, man mano che aumenta la consapevolezza, aumenta la sofferenza; 

- eterna e indistruttibile: non ha inizio e non ha fine;
- cieca: energia incausata senza un perché e senza uno scopo.
Tutti gli esseri nascono solo ed esclusivamente per vivere e continuare a vivere!
Secondo Schopenhauer Dio non esiste e l’unico Assoluto è la volontà stessa.


Secondo Schopenhauer la volontà non caratterizza solo l’uomo ma è una caratteristica che accomuna tutti gli esseri viventi. La differenza sta nella percezione di essa; l’uomo sta al di sopra dell’animale poiché il grado di consapevolezza dell’uomo è maggiore. Secondo il filosofo la volontà cessa solo con la morte definitiva.
Inoltre il filosofo dice che l’uomo vive di illusioni e l' illusione più grande è caratterizzata dall’amore: non è nell’amore il trionfo individuale del soggetto, la volontà si serve dell’amore per alimentare  se stessa. 
Schopenhauer fa della tecnica dello smascheramento uno degli aspetti principali della sua filosofia. 

La polemica di Schopenhauer contro le ideologie trova uno dei bersagli preferiti nell’ottimismo cosmico che circolava nelle filosofie e religioni occidentali dell’epoca: si pensava che il mondo fosse un organismo perfetto governato da Dio. Questa visione per Schopenhauer risulta falsa dato che la vita è un' esplosione di forze irrazionali ed il mondo è il teatro dell’illogicità e della sopraffazione.
Da qui nasce la polemica tra Hegel e Schopenhauer: quest’ultimo aveva definito Hegel un ciarlatano, un filosofo che si pone a favore di uno Stato e perciò non può che parlare a favore di quello Stato. Schopenhauer contesta ad Hegel il fatto che la sua filosofia sistematica giustificasse una cosa negativa. Al contrario, Schopenhauer afferma che il mondo deve essere considerato così come si presenta ai nostri occhi e non deve essere giustificato.

Un’altra menzogna contro cui il filosofo si scaglia è la tesi della bontà della socievolezza dell’uomo. Secondo Schopenhauer  infatti la regola dei rapporti umani è costituita dal conflitto e dal tentativo di sopraffazione reciproca. Di conseguenza, se gli uomini vivono insieme, non è tanto per simpatia, ma soprattutto per bisogno, come ammesso da Hobbes. Ecco il motivo per il quale Schopenhauer sviluppa un pessimismo antropologico e sociale, viene accusato di misantropia. Il misantropo è colui che odia l’uomo e che non è in sintonia con gli altri. Ma questa accusa è infondata poiché egli parla di un sentimento di pietà che sta alla base del compatire.

Un altro aspetto della dottrina di Schopenhauer è la polemica contro ogni forma di storicismo. Secondo il filosofo, la storia è un ripetersi in forma diversa degli stessi errori. Dalla scienza si può trovare beneficio, la storia non ci insegna nulla. 
Capiamo quindi che la vita per Schopenhauer è sostanzialmente dolore. Egli afferma che l’esistenza, in virtù del dolore, risulta una cosa che si impara mano mano a non volerla. Si potrebbe pensare che Schopenhauer metta capo ad una filosofia del suicidio ma egli invece, rifiuta e condanna il suicidio per due motivi: è un atto di forte affermazione della volontà ed esprime soltanto una manifestazione fenomenica della volontà di vivere. Secondo Schopenhauer la vera risposta al dolore del mondo consiste nella liberazione dalla stessa volontà di vivere.
Schopenhauer articola l’iter salvifico dell’uomo in tre momenti:
1) arte
2) morale
3) ascesi


1) L’arte è conoscenza libera e disinteressata che si rivolge alle idee, il soggetto che contempla le idee è il puro soggetto del conoscere, il puro occhio del mondo.
L’arte sottrae l’individuo alla catena infinita dei bisogni e dei desideri quotidiani.
Tra le arti spicca la tragedia che costituisce l’auto-rappresentazione del dramma della vita. Un posto a sé occupa la musica poiché non riproduce le idee ma si pone come immediata rivelazione della volontà a se stessa. Ogni arte è liberatrice ma la funzione liberatrice dell’arte è pur sempre temporanea e parziale. Essa costituisce un conforto alla vita.

2) La morale implica un impegno nel mondo a favore del prossimo. L’etica costituisce infatti un tentativo di superare l’egoismo e di vincere quella lotta degli individui tra loro che costituisce l’ingiustizia e che rappresenta una delle maggiori fonti di dolore per l’uomo. L’etica deriva da un sentimento di pietà o di compassione attraverso cui avvertiamo come nostre, le sofferenze degli altri. Non è la conoscenza a produrre la moralità ma è la moralità a produrre la conoscenza.
La morale si concretizza in due virtù:
- giustizia: è un primo freno all’egoismo, ha un carattere negativo poiché consiste nel non fare il male e nell’essere disposti a riconoscere agli altri ciò che siamo pronti a riconoscere a noi stessi;
- carità: si identifica con la volontà positiva e attiva di fare del bene al prossimo.
Ai suoi massimi livelli la pietà consiste nel far propria la sofferenza di tutti gli esseri passati e presenti, e nell’assumere su di se il dolore cosmico.
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3) La morale rimane pur sempre all’interno della vita e presuppone un qualche attaccamento a essa. Schopenhauer persegue una liberazione totale dall’egoismo, dall’ingiustizia e dalla volontà di vivere. Questa liberazione si raggiunge con l’ascesi. L’ascesi è l’esperienza verso la quale l’individuo si propone di estirpare il proprio desiderio di esistere, di godere e di volere. Il primo gradino dell’ascesi è costituito dalla castità perfetta, altre manifestazioni sono: rinuncia ai piaceri, umiltà, digiuno, povertà, sacrificio e auto-macerazione. La soppressione della volontà di vivere, di cui l’ascesi rappresenta la tecnica, è l’unico atto di libertà che sia possibile all’uomo.
Nei mistici del cristianesimo l’ascesi si conclude con l’estasi, nel misticismo ateo di Schopenhauer il cammino verso la salvezza mette a capo al nirvana buddista, ovvero all’esperienza del nulla. Un nulla, non è il niente, bensì una negazione del mondo stesso. Se per l’asceta schopenhaueriano il mondo è un nulla, il Nirvana è un tutto.
La teoria orientalistica dell’ascesi costituisce la parte più debole e contraddittoria del sistema di Schopenhauer.







La vita di Schopenhauer




Arthur Schopenhauer nasce a Danzica il 22 febbraio 1788
Il padre voleva che il figlio continuasse il suo lavoro ma quando egli muore, Schopenhauer si iscrive alla facoltà di filosofia. Sulla sua formazione influiscono le dottrine di Platone e Kant.
Nel 1818 fu pubblicata la sua prima opera “Il mondo come volontà e rappresentazione” , la quale fu accolta, inizialmente, con freddezza; successivamente Schopenhauer la ridarà alla stampa e solo allora verrà riconosciuto il valore dell’opera.
Il filosofo muore il 21 settembre 1860 a Francoforte, a causa di un' insufficienza cardiaca. 

domenica 29 dicembre 2019

Il Marxismo



LE CARATTERISTICHE GENERALI DEL MARXISMO:
Il pensiero di Marx è contrassegnato dalla sua irriducibilità alla dimensione puramente filosofica, sociologica o economica e dal suo porsi come analisi globale della società e della storia. Il pensiero di Marx è pervaso da un energia totalistica che investe i diversi settori dello scibile, ossia la tendenza a indagare il fatto sociale nell’unità organica delle sue manifestazioni. Un secondo contrassegno del Marxismo è costituito dal suo legame con la prassi, ovvero la sua tendenza ad interpretare l’uomo ed il mondo come impegno di trasformazione rivoluzionaria. Marx proseguì per tutta la sua vita l’ideale dell’unione tra teoria e prassi ovvero, di tradurre in atto, quell’incontro tra realtà e razionalità che Hegel aveva solo pensato. 
Le influenze culturali che stanno alla base del Marxismo sono tre:
- la filosofia classica tedesca;
- l’economia politica borghese; 

- il pensiero socialista.

LA CRITICA AL MISTICISMO LOGICO DI HEGEL:
L’Hegelismo ha esercitato su Marx un notevole influsso che, anche quando Marx si allontanerà da Hegel, resterà nel suo pensiero. Il primo testo in cui Marx si confronta con Hegel è “La critica della filosofia del diritto di Hegel”. Lo scritto e filosofico e politico al tempo stesso: possiamo distinguere un momento filosofico-metodologico ed uno storico- politico. 
Secondo Marx lo stratagemma di Hegel consiste nel trasformare le realtà empiriche in manifestazioni necessarie dello Spirito. Egli gli critica il fatto di aver portato il finito nell’infinito attraverso una prassi ideale quale la ragione.
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Questo è definito da Marx come misticismo logico poiché le istituzioni finiscono per essere allegorie o personificazioni di una realtà spirituale che se ne sta occultata dietro di essi. Marx oppone al metodo mistico di Hegel il proprio metodo trasformativo che consiste nel riconoscere di nuovo ciò che è veramente soggetto e ciò che è veramente predicato. L’esito del giustificazionismo speculativo di Hegel è anche politico che si trasforma nell’accettazione delle istituzioni statali vigenti. Marx apprezza di Hegel la sua dialettica, che consiste nella realtà come totalità storico-processuale costituita di elementi concatenati tra loro.

LA CRITICA ALLO STATO MODERNO E AL LIBERALISMO:
Alla base della teoria di Marx vi è la critica globale della civiltà moderna e dello stato liberale. Il punto di partenza del pensiero di Marx è la convinzione che la categoria del moderno si identifichi con quella della scissione, che prende corpo nella frattura tra società civile e stato. Nel mondo moderno l’uomo è costretto a vivere due vite: una interna come borghese e una in cielo come cittadino. Tuttavia il cielo dello stato è puramente illusorio. Lo stato non fa che riflettere e sancire gli interessi particolari dei gruppi e delle classi. 
In sintesi, la civiltà moderna rappresenta la civiltà dell’egoismo e delle particolarità reali e la società della fratellanza e delle universalità illusorie. Marx scorge i tratti essenziali della società moderna nell’individualismo e nell’atomismo. Lo stato post-rivoluzionario è la proiezione politica di una società strutturalmente a-sociale o contro-sociale. Marx rifiuta tutti gli aspetti della società liberale compresi: il principio della rappresentanza ed il principio della libertà individuale. Marx vuole un modello di democrazia sostanziale o totale in cui esiste una compenetrazione perfetta tra individuo e comunità e che l’unico modo per realizzare una comunità solidale sia l’eliminazione delle disuguaglianze tra gli uomini, dunque: la proprietà privata. Marx propone il ricorso al suffragio universale e l’arma alla quale fa appello è la rivoluzione sociale, di cui ha individuato anche il soggetto esecutore: il proletariato (colui che deve eseguire la condanna storica). All’emancipazione politica egli contrappone l’emancipazione umana che mira alla democrazia e all’uguaglianza sostanziale.

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LA CRITICA ALL’ECONOMIA BORGHESE:
Nei confronti dell’economia borghese, Marx ha un duplice atteggiamento: da un lato la considera come l’espressione teorica della società capitalistica, dall’altro l’accusa di fornire un’immagine falsa del mondo borghese. Marx è convinto che ciò sia dovuto ad una incapacità di pensare in modo dialettico che crea un disagio nel proletariato che sfocia nell’alienazione. Il concetto di alienazione in Hegel riveste un significato negativo e positivo al tempo stesso.
In Feuerbach è qualcosa di puramente negativo poiché questo termine aveva una valenza prevalentemente religiosa: “non è Dio che crea l’uomo ma è l’uomo che crea Dio”. Marx si rifà soprattutto a quest’ultimo ed intende l’alienazione come condizione patologica di scissione, dipendenza e auto estraneazione. Tuttavia, la considera un fatto reale, di natura socio economica.
L’alienazione dell’operaio viene descritta da Marx sotto quattro aspetti:
a) il lavoratore è alienato rispetto al prodotto della sua attività: in quanto egli produce un oggetto che non gli appartiene;
b) il lavoratore è alienato rispetto alla sua stessa attività: la quale prende la forma di un lavoro forzato in cui l’uomo è strumento di fini estranei e si sente bestia quando dovrebbe sentirsi uomo e uomo quando si comporta da bestia;
c) il lavoratore è alienato rispetto alla propria essenza: non si sente realizzato nel suo lavoro;
d) il lavoratore è alienato rispetto al prossimo: poiché il datore di lavoro costringe a produrre secondo la logica del profitto.
La causa dell’alienazione è dunque la proprietà privata dei mezzi di produzione, è possibile mettere fine all’alienazione attraverso una lotta di classe del proletariato che deve dare avvio ad una nuova società, ovvero quella comunista.


IL DISTACCO DI FEUERBACH E L’INTERPRETAZIONE DELLA RELIGIONE IN CHIAVE SOCIALE:
La principale rivoluzione teoretica di Feuerbach consiste nella rivendicazione della naturalità e della concretezza degli individui umani viventi e nel rifiuto dell’idealismo di Hegel. Feuerbach, a differenza di Marx non ha considerato come l’uomo, più che natura, sia società e storia. Marx sostiene che l’individuo è reso tale dalla società storica in cui vive. Un secondo punto che unisce e divide Marx da Feuerbach è l’interpretazione della religione. Pur avendo scoperto il meccanismo dell’alienazione religiosa, Feuerbach non è stato in grado, secondo Marx, di cogliere le cause reali del fenomeno religioso.
Per Marx le radici del fenomeno religioso non vanno cercate nell’uomo in quanto tale ma in una determinata tipologia storica di società. La religione viene vista come “oppio dei popoli” secondo la quale la religione è il prodotto di un umanità alienata e sofferenza a
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causa delle ingiustizie sociali. Se la religione è il frutto malato di una società malata, l’unico modo per sradicarla è quello di distruggere le strutture sociali che la producono.

LA CONCEZIONE MATERIALISTICA DELLA STORIA:
Il passaggio di Marx dall’umanismo al materialismo storico coincide con la transizione dall’antropologia speculativa al sapere reale della storia. L’ideologia appare come una falsa rappresentazione delle realtà. La storia è condizionata dalle cose materiali: l’economia.
 Marx vuole cogliere la realtà della storia e non l’ideologia. La storia è un processo materiale fondato sulla dialettica bisogno-soddisfacimento. Alla base della storia vi è dunque il lavoro inteso come creatore di civiltà e di coltura e come ciò attraverso cui l’uomo si rende tale.

STRUTTURA E SOVRASTRUTTURA:
Nell’ambito della produzione sociale dell’esistenza che costituisce la storia, bisogna distinguere:
- forze produttive: con le quali Marx intende tutti gli elementi necessari al processo di produzione ossia: forza lavoro, mezzi di produzione e conoscenze tecniche scientifiche;
- rapporti di produzione: con i quali Marx intende i rapporti che si instaurano tra gli uomini nel corso della produzione (tra le diverse classi sociali, tra datore di lavoro e dipendente); 

Forze produttive e rapporti di produzione, costituiscono nell’insieme, il mondo di produzione. L’insieme dei rapporti di produzione costituisce la struttura, ovvero lo scheletro economico della società. La struttura rappresenta il piedistallo concreto su cui si eleva una sovrastruttura giuridico-politico-culturale; il termine sovrastruttura indica che i rapporti giuridici, le forze politiche, e le dottrine etiche, artistiche, religiose e filosofiche sono espressioni dirette dei rapporti che definiscono la struttura di una certa società storica. Con l’espressione materialismo storico si indica la teoria secondo cui le vere forze motrici della storia non sono di natura spirituale, bensì materiale o socio-economica.

LA DIALETTICA DELLA STORIA:
Ogni società opera sulla base delle forze produttive e rapporti di produzione ma in modo diverso. Poiché le forze produttive si sviluppano più rapidamente dei rapporti di produzione, ne segue una situazione di contraddizione tra i due elementi che genera un epoca di rivoluzione sociale. Infatti, le nuove forze produttive sono sempre incarnate da una classe in ascesa, mentre i vecchi rapporti di proprietà sono incarnati da una classe dominante al tramonto. Di conseguenza risulta inevitabile lo scontro. Questo modello teorico trova la propria semplificazione nella Francia del 700, dove vi fu uno scontro aperto tra la borghesia (espressione delle nuove forza produttive) e l’aristocrazia (espressione dei vecchi rapporti di proprietà feudali). Vinse la borghesia. Nel capitalismo moderno, si
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delinea una contraddizione sempre più forte tra forze produttive sociali e rapporti di produzione privatistici. La fabbrica moderna, pur essendo proprietà di un capitalista, produce soltanto attraverso un lavoro collettivo di operai.
Secondo Marx se sociale è la produzione della ricchezza, sociale deve essere la distribuzione di essa. Questo implica che il capitalismo porta in se il socialismo. Le grandi formazioni economico-sociali individuate dal Marxismo sono: la comunità primitiva, società asiatica, società antica, società feudale, società borghese, società socialista. Indubbio è che per i classici del Marxismo, procede dal comunismo primitivo al comunismo futuro, altrettanto in dubbio è che questo diagramma storico di sviluppo della civiltà poggi sulla tesi secondo cui il comunismo è lo sbocco inevitabile della dialettica storica. Per Marx la dialettica è quel metodo di indagine che consiste nel prospettare la realtà studiata come una totalità in divenire.
Secondo Marx:
- il soggetto della dialettica storica è rappresentato dalla struttura economica e dalle classi sociali;
- la dialetticità del processo storico è concepita come empiricamente e scientificamente osservabile attraverso i fatti stessi;
- le opposizioni che muovono la storia sono concrete e determinate.


IL MANIFESTO DEL PARTITO COMUNISTA:
“Il manifesto del partito comunista” (1848) viene scritto e pubblicato a spese di Marx poiché i contenuti erano anti liberali. Esso rappresenta un’efficacie sintesi della concezione Marxista del mondo, i punti salienti del documento sono:
1. Analisi della funzione storica della borghesia;
2. Il concetto della storia come lotta di classe e il rapporto tra proletari e comunisti;
3. La critica dei socialismi non scientifici (differenza tra socialismo utopistico e socialismo scientifico).

1. In questa prima parte mette in evidenza i limiti che giustificano la lotta di classe. A differenza delle classi sociali dominanti nel passato, la borghesia, non può esistere senza rivoluzionare continuamente gli strumenti di produzione e l’insieme dei rapporti sociali.
2. Le moderne forze produttive si rivoltano contro i vecchi rapporti di proprietà tanto che il proletariato non può fare a meno che mettere in opera una dura lotta di classe. La lotta di classe viene individuata come soggetto autentico della storia.

3. Marx divide la letteratura socialista in tre tendenze di fondo:
- socialismo reazionario: attacca la borghesia secondo parametri conservatori, presenta tre forme: feudale (auspica l’abolizione della società capitalistica moderna e il recupero del passato), piccolo-borghese (esprime il punto di vista della piccola borghesia rovinata dal
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capitalismo industriale), tedesco;
- socialismo conservatore: esso è incarnato dagli economisti filantropi che ritengono possibile rimediare agli inconvenienti sociali del capitalismo senza distruggere il capitalismo stesso;
- socialismo utopistico: costituito da idee pre-marxiane che non riconoscono al proletariato una funzione storica e rivoluzionaria autonoma. A questo tipo di socialismo Marx contrappone il socialismo scientifico, basato su un analisi critico-scientifica dei meccanismi sociali del capitalismo.


IL CAPITALE:
Nel saggio intitolato “il Capitale” Marx mette in evidenza i meccanismi strutturali della società borghese al fine di svelare la legge economica della società moderna. All’inizio dell’ opera egli punta l’attenzione sulla merce e di essa mette in evidenza due aspetti: la merce ha un valore d’uso e un valore di scambio.
- valore d’uso: in quanto deve poter servire a qualcosa;
- valore di scambio: in quanto deve garantire la possibilità di essere scambiata con altre merci. Posso scambiare una merce con una differente avente un comune denominatore (quantità). Il prezzo della merce non è un dato certo poiché il valore di scambio deve poggiare su qualcosa di stabile: lavoro socialmente necessario per produrre quella merce. Per lavoro socialmente necessario si intende un lavoro medio (esempio: In due ore posso produrre due uova o dieci uova).
Marx contesta il cosiddetto feticismo delle merci che consiste nel considerare le merci come se avessero un valore in se stesso autonomo e per se stesso, non considerando così il lavoro che c’è dietro. Secondo Marx la caratteristica del capitalismo è costituita dal fatto che in esso la produzione non è finalizzata al consumo bensì al profitto. Il processo di produzione pre-capitalistico si fonda sulla formula M-D-M (merce-denaro-merce). Ad esempio il contadino produce verdura che frutta denaro, e quel denaro viene impiegato per altra merce. Il processo di produzione capitalistico si fonda sulla forma D-M-
(denaro- merce-+denaro). Ad esempio, per produrre la merce viene investito denaro e con la vendita della merce bisogna ricavare denaro maggiore di quello investito. Il plusvalore è prodotto dal pluslavoro, produce il profitto. Il plusvalore genera il profitto ma non coincide con esso poiché il profitto è sempre inferiore perché c’è un capitale costante (investito nei macchinari) ed uno variabile (salari). Il tasso del plusvalore risiede nel rapporto tra il plusvalore e il capitale variabile (salari).
Il capitalista per poter dirigere la fabbrica, è costretto ad investire non solo in salari ma anche in impianti, per tanto il tasso del profitto risiede nel rapporto tra il plusvalore e la somma del capitale costante e del capitale variabile.

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TENDENZE E CONTRADDIZIONI DEL CAPITALE:
C’è però un anello debole: non tutto il plusvalore lo intasca il datore di lavoro, dunque investe sui macchinari per produrre e guadagnare di più. Se investe sui macchinari aumenta il capitale costante, dunque diminuisce il capitale variabile, ma è il capitale variabile a garantire il plusvalore. Questo determina la caduta tendenziale del tasso di profitto. L’investimento nelle macchine, secondo Marx, è il tallone d’Achille che segnerà la caduta del capitalismo.

LA RIVOLUZIONE DELLA DITTATURA DEL PROLETARIATO:
Le contraddizioni della società borghese rappresentano la base della rivoluzione del proletariato, il quale attua il passaggio dal capitalismo al comunismo. L’obbiettivo era quello di passare da una società divisa in classi sociali ad una società priva di esse. Per fare ciò bisogna eliminare la proprietà privata. La rivoluzione deve portare all’eliminazione dello stato poiché esso si è sempre identificato con la classe sociale al potere; prima di eliminare lo stato, bisogna eliminare la proprietà privata e dunque le classi sociali, poiché se non ci sono queste ultime lo stato non ha motivo di esistere. Marx ritiene che la dittatura del proletariato si configuri come la misura politica fondamentale del processo rivoluzionario. Esso rappresenta il passaggio transitorio alla società borghese a quella comunista. Il proletariato distrugge lo stato borghese e attua un processo comunista.

LE FASI DELLA FUTURA SOCIETA’ COMUNISTA:
Nei “manoscrittiMarx distingue un comunismo rozzo (ha bisogno di essere perfezionato, vi è lo stato) e un comunismo autentico (non ci sono classi sociali). 
Nel comunismo rozzo la proprietà viene trasformata in proprietà di tutti, ovvero nazionalizzata; la comunità assume il ruolo di una grande capitalista. 
Il comunismo rozzo, secondo Marx, è dominato dalla categoria dell’avere e ha le sue radici nell’invidia. 
Il comunismo autentico si realizza quando l’uomo cessa di intrattenere con il mondo rapporto di puro possesso e consumo.
 Marx sostiene che deve scomparire la categoria dell’avere dunque, all’homo oeconomicous contrappone un uomo nuove, considerato come un essere totale, che esercita in modo creativo l’insieme delle sue potenzialità.
Nella “critica del programma di Gotha” Marx distingue due fasi fondamentali della futura società comunista.  Nella prima fase vige il principio “a ciascuno secondo il suo lavoro”; nella seconda fase vige il principio “ognuno secondo le sue capacità, a ognuno secondo i sui bisogni”.







La vita di Marx




Karl Marx, oltre ad essere stato il “filosofo del comunismo”, è anche un classico della cultura in generale. 
Marx nasce a Treviri nel 1818 da una famiglia ebrea, la quale si mantiene su posizioni agnostiche. 
Entrato in contatto con i giovani “hegeliani” studia affondo la filosofia di Hegel. 
Nel 1843 termina la stesura della Critica della filosofia del diritto di Hegel, in cui comincia a misurarsi polemicamente con i problemi della filosofia politica moderna
Nel 1844 scrive “Manoscritti economico-filosofici”. 
Nel 1847 si tiene a Londra il primo congresso della lega dei comunisti e Marx viene rappresentato da Engels. Sempre nello stesso anno viene incaricato dalla Lega di elaborare un documento teorico- programmatico con il titolo di “Manifesto del Partito Comunista”. 
Nel 1951 si ritira dalla politica attiva e inizia a lavorare al British Museum. Per lui e la sua famiglia sono anni difficili, tormentati da problemi economici. 
Nel 1866 il filosofo redige il primo volume del“il Capitale”.
Il 14 marzo 1883 il filosofo muore a Londra all'età di 64 anni a causa di una bronchite e di un' ulcera polmonare. 





Feuerbach





1804-1872
= Fondatore dell’ateismo filosofico ottocentesco

Il programma di Feuerbach è quello di compiere una critica assoluta al modo in cui idealismo e religione si rapportano con il mondo. Il filosofo si prefigge lo scopo di stravolgere i rapporti reali tra soggetto e predicato attraverso un’inversione di tali rapporti tradizionali.
Infatti l’idealismo e la religione esprimono una visione rovesciata delle cose, in quanto rendono soggetto (ad es. il pensiero) ciò che nella realtà è predicato e predicato (ad es. l’essere) ciò che nella realtà è soggetto. In altri termini, fanno della causa (ad es. l’essere) l’effetto e dell’effetto (ad es. il pensiero) la causa.
Il filosofo applica la sua filosofia materialistica anche alla religione, introducendo una nuova concezione secondo cui non sarebbe stato Dio a creare l’uomo, ma sarebbe stato l’uomo a creare Dio, infatti quest’ultimo per il filosofo costituisce una proiezione dell’uomo.
Infatti, secondo tale concezione, Dio costituisce una sorta di proiezione illusoria che incarna determinate qualità dell’uomo, come la ragione, il cuore e la volontà. Nella sua opera intitolata “L’essenza del cristianesimo”il filosofo sostiene che la religione costituisce l’insieme dei rapporti dell’uomo con il proprio io (l’essere). Quindi tutte le caratteristiche dell’essere divino, corrispondono a quelle dell’essere umano.  
L’antropologia è la chiave di lettura della religione: se Dio altro non è che la proiezione illusoria dell’ operata dall'uomo del proprio essere, allora è evidente che dio è semplicemente l'immagine che l'uomo ha di se stesso e quindi per questo motivo, il filosofo sostiene che alla base della religione vi è l'antropologia (cioè l'uomo stesso), che è anche la sua chiave di lettura.
Il filosofo ha dato 3 interpretazioni circa la nascita dell’idea di Dio. 
  1. Per dare una risposta a questa incognita, egli sostiene che l’uomo possiede non solo la coscienza di sé come individuo, ma anche come specie; e quindi se da una parte, come uomo si sente debole e impotente, dall’altra come specie si sente onnipotente e infinito. E da questo deriva la personificazione di Dio delle qualità della specie umana. E quindi la religione deriva dalla coscienza dell’infinito, ovvero della consapevolezza dell’uomo dell’infinità del suo essere.
  2. Un’altra interpretazione che il filosofo da all’origine dell’idea di Dio è l’opposizione tra volere e potere; tale opposizione secondo il filosofo porta l’uomo a creare la divinità, che incarna la realizzazione di tutti i suoi desideri. 
  3. Altre volte, poi il filosofo sostiene che l’idea di Dio derivi dal sentimento di dipendenza dell’uomo nei confronti della natura; infatti, tale sentimento spinge l’uomo a venerare cose senza cui egli non potrebbe ne esistere, ne vivere, come la luce, la terra, l’aria, l’acqua e così via. Infatti, proprio per dimostrare questo fatto il filosofo cita l’esempio dei messicani, che “veneravano” il sale.
L’alienazione: Il filosofo sostiene che indipendentemente dalla sua origine, la religione rappresenta una forma di alienazione. Tale termine, che venne utilizzato anche da Hegel e Marx, indicava lo stato patologico attraverso cui l’uomo proietta fuori di sé una potenza superiore, che è Dio, alla quale egli si sottomette. 
L’ateismo: In base a ciò, l’ateismo non costituisce soltanto un gesto di onestà filosofica, ma come un dovere morale. In quanto è dovere dell’uomo recuperare e riportare dentro se stesso tutte le qualificazioni positive che egli ha proiettato fuori di sé, “creando” Dio. In sostanza ciò che è diventato soggetto della religione, deve ritornare ad essere predicato; quindi Dio che rappresenta la sapienza non deve essere più il soggetto, e l’amore e la volontà l’oggetto della religione, ma viceversa. Da ciò deriva il nuovo compito della filosofia, che non è più quello di porre l’uomo come un “prodotto di Dio”, ma al contrario, deve essere quello di risolvere Dio nell’uomo (nel senso che Dio diventa un prodotto dell’uomo).
Il filosofo sebbene inizialmente fosse un seguace di Hegel, successivamente definì la sua filosofia come una teologia razionalizzata, secondo la quale la realtà è l’espressione in termini di ragione della teologia (secondo cui la natura è stata creata da Dio, e l’essere materiale da un essere astratto). 
Infatti, la critica che il filosofo muove nei confronti di Hegel è di concepire lo spirito come una realtà vera da cui deriva sia l’uomo, che la natura e la stessa storia umana. Mentre per F, la vera realtà è il finito (la natura, l’uomo concreto), mentre lo spirito è solo un qualche cosa di secondario, che viene dopo la vita reale. Quindi, secondo F. lo spirito di Hegel è una fantasma di noi stessi, ovvero una sorta di astrazione. Il termine astrarre significa “portare fuori”, quindi portare l’essenza della natura al di fuori della natura, l’essere dell’uomo al di fuori dell’uomo e così via. Per questo motivo, l’essere della teologia, è un essere trascendente (ovvero l’essere dell’uomo proiettato al di fuori dell’uomo stesso). 
Feurbach compiendo una critica della filosofia di Hegel , crea una nuova filosofia incentrata sull’uomo. Questa nuova filosofia (filosofia dell’avvenire), assume i connotati di un’ umanismo naturalistico
  • umanismoin quanto rende l’uomo l’oggetto unico e universale e il fine della filosofia
  • naturalistico, in quanto concepisce la natura come la realtà primaria (una scienza universale) da cui ogni cosa deriva, incluso l’uomo. 
Il punto di partenza di questa filosofia è rappresentato dal riconoscere l’uomo come una realtà vivente, fatta di “carne e sangue”, con una sensibilità e dei bisogni fisici, da cui logicamente dipende. La sensibilità non è una qualità che ha un valore unicamente conoscitivo, ma possiede anche un valore pratico, che è collegato al sentimento d’amore. 
L’amore è una passione fondamentale, che ci fa tutt’uno con la vita; è il motore della vita, ciò che ci apre al mondo; quel qualche cosa che quando esiste rende l’uomo felice, e quando manca lo rende infelice. Ed è anche per questo che l’io da solo non può stare, ma esiste solo insieme al tu. 
O meglio, l’uomo non può stare senza l’altro uomo: le idee scaturiscono dalla comunicazione, per creare un uomo sono necessari due uomini e attraverso la coscienza dell’esistenza dell’altro si ha la certezza dell’esistenza di altre cose oltre all’io.
In base al fatto che l’io ha un senso solo in relazione al tu, Feuerbach pensò una nuova teoria, nota come la teoria degli alimenti, secondo cui l’uomo è ciò che mangia. Tale espressione significa che:
  1. l’uomo ha una realtà psico-fisica;
  2. se si vogliono migliorare le condizioni di un popolo bisogna migliorare le sue condizioni materiali (la fame e la sete abbattono non solo il fisico, ma anche il morale).
In base a ciò, si può dire che la filosofia di Feuerbach,  costituisca una forma di filantropia, in quanto il filosofo sposta l’attenzione da Dio all’uomo, sostituendo l’amore per Dio con l’amore per l’uomo, la fede in Dio con la fede nell’uomo e così via. Ed è anche per questo che si parla di ateismo (proprio perché Dio non ha più alcun ruolo, ma viene sostituito direttamente dall’uomo).